martedì 14 ottobre 2014

Claudio Capraro

Probabilmente fu l’anno in cui il terrorismo, i rapimenti, gli attentati, le sparatorie arrivarono al loro culmine. Per questo sarà ricordato come l’anno più difficile tra i famigerati “anni di piombo”. Fu anche l’anno in cui, causa il clima di austerità il Governo decise la soppressione di alcune feste civili (due giugno e 4 novembre) e religiose (Epifania, San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, S.S. Pietro e Paolo). Il primo gennaio di quell’anno andò in onda per l’ultima volta Carosello, ma sempre in quell’anno la Rai iniziò la trasmissione dei programmi a colori, mentre Enzo Tortora presentava Portobello.

Era il 1977, un anno difficile sotto molteplici punti di vista, un anno però durante il quale, a leggere le cronache relative alla nostra città, forse si viveva in un clima migliore di quello attuale sotto differenti punti di vista: per le differenti iniziative culturali quantitativamente e qualitativamente molto valide, per il tenore di vita che nonostante l’austerity permetteva alle famiglie di vivere godendo ciò che si aveva, a volte frutto anche di un solo stipendio, a livello sportivo con una squadra di calcio che militava in tutt’altre categorie.


Un anno da ricordare anche per quanto riguarda i riti della Settimana Santa proprio perché un “anno di piombo” con un episodio che molti ricorderanno e che io stesso seppur piccolino rivivo ancora in maniera abbastanza nitida.

Chiedendo aiuto ancora alle pagine del Corriere del Giorno, e andando al numero del 3 aprile Domenica delle Palme, la cosa degna di nota è che in nessuna pagina è presente un articolo, un trafiletto o qualcosa che faccia riferimento all’inizio della settimana Santa. Nulla. Ma ancora più strano è che in tutte e tre le pagine della cronaca di Taranto è presente un riquadro abbastanza vistoso, evidenziato con una cornice in grassetto, all’interno del quale in stampatello maiuscolo è riportato il seguente detto popolare: “LASSO’ CRISTE … E SCI’ A LE COZZE.” Il significato intrinseco ed estrinseco di questo detto credo sia noto a tutti i cataldiani, ma se qualcuno non dovesse conoscerlo mi permetto una breve divagazione: narra la leggenda che durante una processione venne giù la pioggia; riparata la statua, il clero ed i fedeli una volta terminato l’acquazzone poterono riprendere il cammino, ma come sappiamo conseguenza di una pioggia è la comparsa delle lumache (cozze o meglio cozze patedde in tarantino) e quindi qualche fedele al seguito della processione (una versione differente sostituisce i fedeli con il clero…) durante il cammino si distrasse dalla preghiera per dedicarsi alla raccolta delle lumache da portare a casa e magari cucinarle alla pizzaiola il giorno successivo. La morale: questa frase la si dice ogni volta che qualcuno dopo aver preso un impegno per far qualcosa, dopo poco distratto da altro abbandona lo stesso impegno per dedicarsi al nuovo interesse. Lo stesso “annuncio” farà la comparsa nelle pagine della cronaca locale anche il lunedì ed il martedì santo.


Sono riportati i nominativi degli aggiudicatari delle due processioni con i relativi importi licitati; qualche confratello avrà la forza per prendere parte ad entrambe le processioni. Vengono riportati gli orari ed i percorsi delle processioni (i Misteri usciranno alle 17,00 – mentre l’anno precedente l’orario di uscita riportato erano le 16,30 – e saranno a San Francesco alle 22,30!!) e si sottolinea amaramente come la Beata Vergine Addolorata, uscendo da San Domenico percorrerà tanta strada sì tra due enormi ali di folla, ma soprattutto tra due file di case murate, finanche u’ Relogge da chiazza cantato da Diego Marturano sarà chiuso e muto.


Ma veniamo all’episodio che ci interessa e che riguarda la processione dei santi Misteri che come riporta il cronista, che spesso non si firma, ma qualche volta lo fa con le sue iniziali N. C. (chi mai sarà???) si è svolta tra via D’Aquino e via Di Palma “con una folla strabocchevole che ha preso possesso delle strade, creando un’unica, chilometrica isola pedonale”. Già si sognava il borgo libero dalle auto, almeno per le due arterie dello struscio. Nel numero del sabato Santo, accanto all’articolo di commento alla processione dei Misteri, troviamo un altro pezzo, dello stesso autore (lo stile è inconfondibile) dal titolo:

 “UNO SCOPPIO: PANICO TRA LA FOLLA IN PIAZZA IMMACOLATA: la folla strabocchevole che ieri sera ha fatto ala al passaggio della processione dei Misteri ha vissuto momenti di panico. Il mistico corteo era in via D’Aquino in prossimità di piazza Immacolata quando – verso le 21,30 – si è udito uno sparo (o più di uno?) che ha scatenato il fuggi fuggi. E’ stato un terribile momento. Dalla voce trafelata di chi si era rifugiato nei portoni, in qualche negozio ancora aperto o nel portone dello stabile in cui ha sede il Corriere (in via Di Palma, accanto al cinema Odeon, dove c’è attualmente l’Archivio di Stato, ndr) le prime concitate informazioni riferite, hanno fatto pensare ad un attentato. Poi compiuti gli accertamenti si è potuto stabilire che lo “sparo” era stato provocato dallo scoppio di un palloncino gonfiato a idrogeno. Nessun attentato dunque, ovvia però una amara considerazione: perché la gente ha pensato subito al peggio? Basterebbe rimeditare su recentissime vicende accadute nel Paese.”

Il giorno di Pasqua, poi, un articolo più preciso ci spiega meglio cosa sarebbe successo.

"UN PALLONCINO CHE STAVA PER METTERE IN CRISI LA PROCESSIONE. Come spiegarsi il panico che ha coinvolto la folla: Non si è mancato ieri, a Taranto, di commentare un fuori programma che ha turbato, sia pure per pochi minuti, lo svolgimento della mistica processione dei Misteri. E’ bastato – come abbiamo scritto ieri – lo scoppio di un palloncino, un po’ di fumo, per seminare il panico tra la folla; per vedere gente di ogni età correre, cercare un rifugio, allontanarsi dal posto dove <> come i più ripetevano, senza sapere neppure cosa fosse successo. Perché tutto questo? Perché c’è paura, c’è <> appunto. Ed ecco dimostrato che la strategia messa in atto per anni funziona e basta un niente per rendere incontrollata e incontrollabile la massa dei cittadini. Possono capirlo quanti l’altra sera, verso le 21.30, erano lì, nel tratto di via D’Aquino tra via De Cesare e piazza Immacolata. Due isolati rigurgitanti di gente, uomini, donne, anziani, giovani, bambini: tanti bambini. Il panico che ha colto chi ha <>, chi ha <> l’effetto del botto, si è subito esteso a tutti gli altri. Il fuggi fuggi è stato generale. Le urla hanno sovrastato le note delle marce funebri. Le bande hanno taciuto d’incanto. La gente fuggiva, per la strada, nelle traverse, si infilava nei portoni. Non bastava, qualcuno gridava e invitava ad andar su per le scale degli stabili. I bambini, piangenti, sono finiti a terra, travolti da chi fuggiva. Altri tremanti hanno cercato rifugio nelle braccia dei genitori che li hanno portati via di corsa. Gli stessi confratelli sono stati colti dal panico. C’era stata una esplosione – così correva voce – e se si fosse trattato di un attentato, questo doveva certamente essere rivolto alla processione, ai <>. Qualcuno ha lasciato le <> e qualche statua si è bruscamente e pericolosamente piegata su un lato. Qualche altro si è strappato il cappuccio dal volto ed è fuggito nelle retrovie della processione rimanendo a capo scoperto. Un altro colto da crisi, ha spezzato la sua <>. Qualche papà, dopo il primo attimo di smarrimento completo, si è accorto di non avere più accanto a se la moglie o i figli e si è messo a cercarli chiamandoli per nome. Una donna è stata ritrovata dal marito in un bar. Era svenuta e qualcuno la stava rianimando. Altre donne sono svenute. Molti, correndo disperatamente su via D’Aquino, verso piazza della Vittoria, si sono bloccati davanti alle statue di Cristo morto e dell’Addolorata. Vi si sono letteralmente aggrappati, recitando preghiere e invocando la grazia della salvezza. Inutile dire che nel marasma seguito alla innocente esplosione di un palloncino (ma qualcuno è pronto a giurare che dove c’è stato il botto non c’erano palloncini e si è visto del fumo nero salire da terra) non si è badato a lasciar andare ciò che si aveva in mano, per cercare un’altra mano, per stringere un bimbo o una moglie, o un marito o un estraneo addirittura, il più vicino. Sono rimasti a terra ombrelli, cartocci di noccioline, pacchetti di sigarette (pieni), borsette, cappelli. In particolare, due paia di occhiali da vista ed un portachiavi sono stati raccolti davanti al bar Melucci (via D’Aquino 83) dove sono a disposizione di chi li avesse smarriti”.


Questa la cronaca della stampa locale. Ognuno di noi poi, ricorderà l’episodio a modo suo. Il mio personalissimo ricordo di quel periodo era sì di una strategia della tensione in atto nel Paese. La vivevo come poteva un bimbo di quasi nove anni che, annoiandosi, guardava le immagini del telegiornale. Taranto anche se con la presenza militare e con le grandi aziende poteva essere un obiettivo “sensibile” era in realtà ai margini degli episodi che funestavano l’Italia in quegli anni. Quel venerdì santo, l’otto aprile, ero in via D’Aquino con i miei genitori ed i miei nonni paterni, all’incirca tra la libreria Mandese ed il calzaturificio Di Varese (dove ora c’è Geox). Avevo di fronte (se la memoria non mi inganna) il Crocifisso e la Sindone e riuscivo a vederle nonostante la gente davanti a me. Papà non poteva più prendermi sulle spalle, ormai ero grande. All’angolo con via Acclavio, nei pressi del bar Antille (adesso c’è Goldenpoint), c’era la “famigerata” bancarella dei palloncini. Attaccati con un filo ad una barra trasversale erano quelli già gonfi. Due le forme, tondi o allungati con dei restringimenti a simulare la forma di un bruco. In orizzontale sul banco del venditore la bombola contenente il gas sotto pressione con il quale venivano gonfiati i palloncini. All’improvviso ricordo il boato (il tempo amplifica anche i suoni? Probabile) e dopo un momento di sbandamento, durante il quale vidi alcune statue posate sull’asfalto, il fuggi fuggi. Noi corremmo verso via De Cesare per far ritorno in tutta fretta a casa dei nonni in via Anfiteatro. Il cuore batteva anche se l’incoscienza di quella età, il fatto di non sentirmi responsabile dei propri familiari come succede ad un adulto, mi fece vivere quel fuori programma con maggiore serenità rispetto a quanto accadde ai miei genitori. Infatti quando mio padre propose dopo un po’ di uscire nuovamente, mamma si oppose ferma a quella iniziativa.


Per concludere posso dire che per quanto sentito e per quanto fu forte il botto non credo che si fosse trattato delle scoppio di un palloncino (che anche in un ambiente silenzioso che rumore potrebbe mai fare? Ancora di più in una strada piena di gente e con le bande che suonavano). Molto più plausibile che si fosse trattato dello scoppio delle bombola contente il gas per gonfiare gli stessi palloncini.


La processione poi riprese e arrivò a San Francesco, dove i confratelli effettuarono la sosta e probabilmente poterono ricevere qualche notizia in più su quanto fosse accaduto. La mattina del sabato Santo, il corteo processionale fece rientro al Carmine e per molte e molte settimane successive, quella processione dei Misteri del 1977 fu oggetto di discussioni tra i confratelli ed i tarantini tutti.