martedì 28 ottobre 2014

Antonello Battista 

L’indole del buon cristiano dovrebbe anche essere quella di usare i propri carismi per il bene della comunità, sviluppando un civismo che permetta seguendo le norme del Vangelo di ricreare qui sulla terra l’immagine perfetta del regno dei Cieli. Ed è per questo che dovrebbe essere prerogativa di un buon cattolico impegnarsi civilmente ed attentamente per i problemi della propria comunità, impiegando tutte le energie a servizio della collettività.

Proprio questo spirito civico di cui parlo, non ci può tenere indifferenti guardando alla condizioni in cui versa la nostra Città Vecchia, la nostra Isola Madre, il cuore pulsante della religiosità e della tradizione tarantina. A noi confratelli del Carmine, ed a me in particolare, provoca un senso di rabbia e quasi di disgusto vedere il degrado in cui è precipitato il borgo antico, luogo da dove tutta la nostra tradizione legata ai Riti della Settimana Santa ha avuto inizio.

Non è da comunità civilmente sviluppata lasciare che le proprie radici marciscano nell’oblio dell’incuranza e del malaffare, non è umanamente sopportabile la vista di un così prezioso patrimonio artistico, religioso e culturale lasciato all’abbandono e alla mercé del vandalismo e della più becera ignoranza. Perciò laddove non intervengono gli organi e le persone preposte a farlo, è lo spirito di cattolico civismo ispirato dallo Spirito Santo che pone le sue radici per cercare un sostanziale cambiamento dello status quo.

Il nostro amato Arcivescovo, ha annunciato per la prima volta nell’omelia del pellegrinaggio diocesano a San Giovanni Rotondo, lo sblocco dei fondi per la ripresa del restauro della Chiesa di Santa della Salute nota come Monteoliveto, da lui fortemente sollecitato presso il Ministero dei Beni Culturali e del Turismo, nella persona del Ministro Franceschini. Una notizia accolta da tutti con infinita gioia, ancor più perché annunciata in prima persona da Mons. Santoro attivo già da molto tempo con intenzioni ed opere per il bene della nostra meravigliosa città e del nostro preziosissimo centro storico.

Il restauro e la riapertura di quella Chiesa significa per i cataldiani più convinti, tornare a respirare aria di tarentinità, di tradizioni antiche, di un epoca in cui, la piazza antistante il sagrato ed il tempio stesso, gestito dai padri Gesuiti, brulicavano di persone. Era quello un punto nevralgico dell’allora Taranto limitata al centro storico ed al borgo, poiché vicina alla centrale via Duomo e punto di passaggio obbligato verso la “Ringhiera” del lungomare vecchio. Inoltre di fronte alla Chiesa era presente una piccola chiesetta dedicata a Sant’Andrea degli Armeni, adesso credo anche sconsacrata e perennemente chiusa se non in sporadiche occasioni nel periodo estivo. E che meraviglia poi, doveva poi essere vedere le nostre poste del Pellegrinaggio del Giovedì Santo affollare una dopo l’altra in fila, quello slargo uscendo da una chiesa ed entrando nell’altra. Ahimè immagini di un passato piuttosto sbiadito e lasciato alla memoria di ingiallite foto d’epoca.


I dati storici datano la costruzione della Chiesa, inizialmente denominata Chiesa del Gesù, nel 1686 per volere della Compagnia di Gesù. Questa, con ogni probabilità, era giunta per la prima volta in città nel 1612, stanziandosi in maniera definitiva nel 1622, anno in cui la Compagnia ereditò il Palazzo Visconti, adattato a collegio. La costruzione si protrasse per ben 77 anni, fino al 1763, sebbene l'altare maggiore fosse stato consacrato già nel 1752. Appena quattro anni dopo l'ultimazione dei lavori, il 21 luglio 1767, la Compagnia di Gesù fu soppressa da Papa Clemente XIV; i padri dovettero lasciare la città nel 1773 e il complesso fu affidato alle cure della congregazione olivetana, che mutò la denominazione del tempio in chiesa di Monteoliveto e trasformò il collegio nel proprio convento. Quest'ultimo venne confiscato per decreto di Gioacchino Murat nel 1813 e destinato ad alloggio per gli ufficiali napoleonici.

Da allora esso mutò più volte destinazione d'uso e quando i Gesuiti rientrarono a Taranto, nel 1924, dovettero trasferirsi in un edificio limitrofo, denominato Istituto San Luigi e collegato alla chiesa tramite un cavalcavia. Nel 1936 la città di Taranto venne consacrata all'icona della Madonna della Salute, da cui il santuario prende la sua attuale denominazione. L'icona che dà il nome al tempio è una copia seicentesca, realizzata con ogni probabilità dal pittore leccese Antonio Verrio, della Salus populi romani, icona bizantina attribuita dalla tradizione a san Luca e venerata nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. La sua sistemazione consueta è sull'altare maggiore della Chiesa. Attualmente, essendo purtroppo il santuario chiuso al culto, l'icona viene venerata dai fedeli nella cappella del Santissimo Sacramento della Cattedrale di San Cataldo. I Gesuiti continuarono a gestire il culto nel tempio fino al 1992, anno in cui lasciarono la città. A questa chiesa inoltre è legata la famosa storia del “giro” di Crocifissi tra il Carmine, Monteoliveto e San Giovanni di Dio, che il Caputo ci racconta ne “Il cammino del silenzio”.


La memoria, la storia di un popolo, la fede, la tradizione e la religiosità popolare non possono e non devono morire soffocati dalle barbarie culturali di una comunità senza memoria, con buona pace di chi con impegno cerca di distruggere in nome di una modernità che puzza di affarismo, ciò che da secoli segna il volto di una città, tanto bella quanto vilipesa, tanto legata alla semplicità del passato, quanto boriosa ed indolente. Noi confratelli, noi cattolici, noi cataldiani convinti, non permetteremo mai che le il senso di inciviltà prevalga su ciò che nei secoli, l’uomo ha costruito con l’aiuto del Signore.

DECOR!