mercoledì 7 maggio 2014

Claudio Capraro 

Un giovedì Santo differente da quello degli ultimi anni. In pellegrinaggio agli altari della Reposizione, ma con le scarpe ai piedi ed a volto scoperto. 

Il mio personalissimo giro è cominciato da San Francesco di Paola, nel momento esatto in cui iniziava la celebrazione della Messa in Coena Domini. Subito, entrando ho potuto vedere l’allestimento dell’altare: un grande faro con al centro il Santissimo e dal quale faro si irradiavano raggi. Un faro verso il quale volgere lo sguardo e da non perdere mai di vista; che ci indica sempre la strada verso la salvezza, una luce amica per chi va per mare o per terra, anche oggi nell’era della navigazione strumentale e una luce amica nella nostra esistenza. 

Era ancora presto e al termine della funzione, i pellegrini a piedi nudi li ho potuti incontrare solo a metà di via Di Palma e guardando i loro camici svolazzanti al vento, le loro mani che serravano i bordoni, i medaglieri che sbattevano sulle gambe ho rallentato il passo accanto alle poste che percorrevano la strada in senso contrario al mio. Mi sono mancati quei momenti, quello stare spalla a spalla con il mio compagno.

Proseguendo sono arrivato al Santuario del Santissimo Crocifisso, luogo fondamentale nella mia vita; qui la funzione era cominciata più tardi rispetto a San Francesco, e il Sepolcro era rappresentato da un’alta torre al centro della quale trovava posto il Santissimo Sacramento.

Dopo l’abbondante pioggia del mattino, il cielo si era aperto, ma il vento soffiava forte, lo si vedeva già da lontano guardando il tricolore a mezz’asta in segno di lutto sul castello aragonese, e per attraversare il ponte girevole bisognava coprirsi bene, ma una volta superate le colonne doriche ci si poteva riparare in via Duomo, dove dall’altare della chiesa di San Michele la Vergine Immacolata guardava e benediceva i suoi cittadini che Le transitavano davanti. E riecco loro, in fila indiana, diretti alla Cattedrale. Dai balconi, dai negozi, ogni cento metri o poco più, delle casse stereo inondavano la via Maggiore delle note delle marce funebri e loro, spalla contro spalla lì a nazzicarsi. Al Duomo la messa dell’Arcivescovo era ancora in corso e ci si poteva attardare un po’. Il segnale che la funzione fosse terminata lo si è avuto quando incontro è arrivata la processione formata dai confratelli e le consorelle della Confraternita di Santa Maria di Costantinopoli sotto il titolo dei Santi Medici Cosma e Damiano. La troccola davanti a tutti e dopo i confratelli in mozzetta verde e le consorelle con l’abitino, il Santissimo condotto dal Sacerdote e protetto dall’ombrellino; dietro i fedeli.

La prima posta città vecchia ha potuto fare il suo ingresso in Cattedrale, mentre la folla che premeva sulla scalinata che porta al Cappellone veniva fatta aprire per poter far passare i pellegrini del Carmine. L’odore della cera delle candele, l’inteso profumo di fiori freschissimi e l’incenso da poco asperso, conferivamo come ogni anno una fragranza inconfondibile a quel luogo. Sull’altare il Santissimo in primo piano era ciò che gli occhi prima di ogni cosa potevano scorgere. 

Uscito dal Duomo e proseguendo nel cammino, eccomi a San Domenico. Si stava facendo buio e sul ballatoio il vento soffiava freddo da mar grande. Qui l’altare della Reposizione, risaltava per il color rosso vermiglio dei velluti; al centro l’ostensorio ornato da una raggiera d’oro, le candele, i fiori ed i confratelli dell’Addolorata di picchetto. Alla destra, pronta per il pellegrinaggio alla ricerca del Suo Figlio, la Mamma Addolorata riceveva le preghiere dei fedeli.

Le poste del Carmine intanto salivano dalla scalinata a destra e scendevano da quella opposta, mentre i fedeli stavano già accaparrandosi i posti migliori sul pendio. Giù fino a piazza Fontana, dove ho potuto accorgermi che fino a quel punto non avevo incontrato bancarelle varie: di carne, di bevande o di altro. E con passo più lento che rispetto a quando ero partito da via Regina Elena, eccomi arrivato a San Giuseppe: schiere di angeli in adorazione del Santissimo in una immagine classica. I banchi erano stati eliminati in modo che i perdoni ed i fedeli avessero maggiore spazio.

Terminato il giro in città vecchia e lasciando alle spalle le poste di confratelli, dopo essere passato a rendere visita alla casa natale di Sant’Egidio e aver riattraversato il ponte, eccomi a San Pasquale Baylon. Il sepolcro era stato allestito non sull’altare maggiore, ma a sinistra dello stesso; campeggiavano il bianco ed il gialle mentre due angeli adoravano l’ostensorio posto su delle nuvole.

In piazza Carmine, il vento soffiava forte attraverso via Massari. La banda suonava e in attesa delle poste dei due pellegrinaggi; le poste fisse erano in adorazione al Santissimo posto sulla più grande di tre colonne che componevano la scenografia. Una delle altre due colonne era quella alla quale è legato Gesù e che sarebbe uscita in processione il giorno successivo. Nei giorni passati più di qualche curioso si era chiesto dopo l’Ecce Homo e Cristo all’orto, se e quale statua sarebbe stata posta quest’anno nel sepolcro. Le domande avevano trovato una risposta.



Erano trascorse oltre sei ore da quando era cominciato il mio “pellegrinaggio” 2014. Potevo riprendere a ritroso la strada di casa per andare a riposarmi in attesa di ciò che mi aspettava il giorno successivo. Con le scarpe ai piedi e con un giaccone a ripararmi dal freddo, avevo comunque trascorso delle ore in compagnia dei miei fratelli. Osservandoli, sistemando loro ora lo scapolare, ora la mozzetta. Liberando la strada davanti a loro da qualche piccolo ostacolo che sotto i piedi nudi può diventare parecchio fastidioso. Sentendomi richiamare da qualche posta con il bordone fatto urtare per terra per un saluto ed un augurio.