Fin da piccoli (confratelli in pectore) quel giorno ha assunto un significato particolare. Al mattino presto ancora sotto le coperte, ma svegli, eravamo tutti attenti a captare le prime note della banda che passava per le vie della città suonando le tradizionali pastorali e melodie natalizie.
Dopo aver suonato la “pastorale tarantina” i musicisti salutavano con il cappello in mano e dalle finestre attaccate alle “mollette” del bucato si lanciavano le “mille lire” dai balconi; alcune donne che si erano alzate davvero presto calavano, utilizzando il “cestino di vimini” attaccato alla corda, le “pettole calde” con lo zucchero, altre il caffè caldo nel “termos”.
Per chi non aveva avuto la possibilità di alzarsi presto o per chi non sapeva la “ricetta” per preparare le pettole, c’era sempre una vicina o una “zia” che distribuiva a tutti, specie ai bambini, le pettole “calde calde” da mangiare subito o da portare a scuola.
Con quel semplice rito iniziava il periodo di preparativi che avrebbe portato dopo solo un mese al Natale.
Per noi bimbi quel giorno, anche se si andava a scuola, era comunque una festa.
Si usciva di casa ancora con le dita unte d’olio, che “si era fatto tardi”, mentre gustavamo ancora una pettola con lo zucchero …
Nella mente risuonavano le note della pastorale eseguita della banda, le intonavamo con il classico “… pa-pa-rapapà, pa-pà, pa-pà …” o fischiettando lungo il percorso che portava a scuola, vestiti col grembiule (blù, nero o per le bimbe bianco), col fiocco azzurro (dello stesso nastro del nostro cappello di confratelli, che coincidenza!), col cappotto e con la cartella di cuoio sulle spalle.
Il “sapore” di quella tradizione però non è passato e il desiderio di mangiare la mattina presto del giorno di S. Cecilia la prima pettola calda è sempre forte, ne mangeremo ancora dell’Immacolata e nelle Feste di Natale, ma per tutti noi tarantini e per noi confratelli mangiare le pettole e ascoltare le pastorali nella festa di Santa Cecilia segna l’inizio del periodo di Avvento.