Antonello Battista
Questa solennità è anche chiamata popolarmente il capodanno ecclesiastico, proprio perché è l’ultima Domenica del calendario liturgico, che darà spazio la Domenica successiva alla prima di Avvento che sancisce l’inizio del nuovo anno, con l’attesa del Natale e il cambio del ciclo liturgico. È una solennità particolare, perché per i fedeli e per noi confratelli, così come nel capodanno civile si tirano le somme dell’anno appena passato e si fanno i propositi per l’anno che sta per entrare.
L’istituzione della festa fu decisa da papa Pio XI, l’11 dicembre 1925, a conclusione del Giubileo che si celebrava in quell’anno. Come ha scritto lo studioso padre Francesco Maria Avidano, la relativa devozione si pone in riparazione del grido blasfemo contro Gesù, riportato dai Vangeli: «Non abbiamo altro re che Cesare».
Nei tre giorni precedenti la solennità di Cristo Re i devoti recitano uno specifico Triduo. Le invocazioni domandano in particolare che il Cuore di Gesù trionfi su tutti gli ostacoli al regno del suo amore. Mediante l’intervento della Madonna, poi, si auspica che tutti i popoli – disuniti dalla ferita del peccato – si sottomettano all’amore di Cristo.
Papa Leone XIII, l’11 giugno 1899, consacrò la Chiesa, il mondo e tutto il genere umano a Cristo. La formula dell’orazione, se viene recitata pubblicamente nella solennità di Gesù Cristo Re dell’universo, fa acquisire l’indulgenza plenaria.
L’atto di consacrazione è ricco di richiami all’amore di Cristo per l’intera umanità. Un amore che si è reso visibile proprio nella totale donazione di se stesso sulla croce. La preghiera è anche una richiesta di perdono collettivo e recita fra l’altro: “Molti, purtroppo, non ti conobbero mai; molti, disprezzando i tuoi comandamenti, ti ripudiarono. O benignissimo Gesù, abbi misericordia e degli uni e degli altri e tutti quanti attira al tuo sacratissimo Cuore. O Signore, sii il re non solo dei fedeli che non si allontanarono mai da te, ma anche di quei figli prodighi che ti abbandonarono”.
Da questo preciso giorno l’anima incappucciata del confratello già progetta (può sembrare starno per chi non è calato nella nostra realtà, ma vi assicuro che è così) quella che può essere la sua prossima Settimana Santa, il simbolo o la posta che desidera aggiudicarsi, il compagno o la squadra col quale accordarsi per realizzare tale progetto. Un pensiero anacronistico e prematuro per molti, ma non per noi che abbiamo cucito quello scapolare sull’anima, per noi che abbiamo la mozzetta crema come nostra seconda pelle.
L’Avvento sarà per noi confratelli e tarantini, un periodo molto intenso perché ci cala appieno nella tradizione cittadina del Natale definito da molti il più lungo del mondo, perché a differenza di molte altre tradizioni popolari, che fanno coincidere l’inizio delle festività natalizie con la solennità dell’Immacolata Concezione l’8 Dicembre, qui a Taranto è la festa di Santa Cecilia il 22 Novembre la data d’inizio del periodo natalizio, che durerà sino al 6 Gennaio e che la nostra processione del Bambinello nella sera dell’Epifania sancirà l’atto finale del Natale tutto tarantino all’insegna di dolci note Pastorali e piatti tipici della tradizione.
Il 7 Gennaio; una data odiata dagli studenti e dai lavoratori, perché è l’infausto giorno del rientro tra i banchi di scuola per i primi e sul loro posto di lavoro dopo le vacanze per i secondi. Per un confratello invece no, per questo strano individuo ammalato di “nazzichite cronica” è il giorno in cui la sua anima incappucciata può tornare a sfoggiare tutta la sua bellezza: si tirano fuori dai cassetti i dischi delle marce funebri, si prepara la propria casa, la propria vita, la propria quotidianità alla Quaresima, a ciò che è il fulcro della propria fede e della propria spiritualità ed una voce inizia sussurrare all’orecchio dell’anima: “Silenzio….è Settimana Santa!”