martedì 21 aprile 2015

Claudio Capraro

Uscire sulla piazza, avere un maxi schermo lateralmente che proietta le immagini della processione è una prima stranezza. Spesso una volta usciti si è curiosi a proposito di dove sia arrivata la testa della processione; questa volta lo vedevi in diretta.

Dopo le parole del padre spirituale, ed il discorso dell’Arcivescovo, arrivati all’incrocio con via D’Aquino la svolta a sinistra invece che a destra. Il sole del pomeriggio era un lontano ricordo. Il freddo pungente ed il vento intenso, una volta usciti dalla calda chiesa, rappresentavano una prova ardua. Le transenne che instradavano la processione verso via Margherita erano strette, ti facevano sentire la folla addosso; un antipasto di quella che sarebbe stata via Duomo, una differenza sostanziale per chi da sempre è abituato ai larghi spazi. Una sosta al termine di via D’Aquino, la Madonna “in mano” per sistemare il vestito troppo soggetto ai capricci del vento. Il Suo volto quasi vicino al nostro. I fedeli accalcati vicino a lei, ma in rispettoso silenzio.

Su via Matteotti, ormai le transenne erano un ricordo, ma la folla iniziava ad essere imponente. A quel punto le bande tacevano, il passo era sostenuto, bisognava passare il ponte girevole. La gente che era presente lì in quella corta via era composta, silenziosa, orante. Vedere il ponte di fronte a noi, con il castello, le palme della piazza, i lampioni liberty, nella mente e nei cuori di ognuno di noi ha suscito pensieri ed emozioni particolari. Quell’attraversamento non veniva compiuto da anni, e chissà quando e se sarebbe stato compiuto di nuovo.

Sul ponte, il vento miracolosamente calato, solo il suono dei medaglieri che sbattevano sulle ginocchia e del legno delle forcelle che toccava l’asfalto. Gesù morto e l’Addolorata stavano facendo ritorno nella loro “culla” accompagnate dalle altre sei statue.

Il Vasto e poi prima di girare, quando la strada è ancora leggermente in salita rispetto alla via Garibaldi, il silenzio rotto dagli “ohoh” di stupore di chi per primo scorgeva il mare di gente, di fedeli. Un mare, che a differenza di quello fatto di acqua distante solo pochi metri che era fermo, un mare quello fatto di gente, che si muoveva, che ondeggiava, che fluttuava. E la possibilità, trovandosi alla fine di poter vedere schierata davanti tutta la processione. Invisibili troccolante e Croce dei Misteri, si intuiva il Gonfalone e poi, aiutato dalla luce dei lumi che risplendevano in quel mare di gente, tutte le altre statue. La bara di Gesù morto pochi metri avanti a noi, dietro di noi la corona della Vergine su un cuscino di velluto rosso, le consorelle, la banda ed i fedeli.

Il passaggio davanti alle palazzine, ai cortili, di via Garibaldi. La gente al balcone che si segnava, quelli per strada che si avvicinavano per toccare la base nero e argento o per inviare a distanza un bacio all’Addolorata. Qualcuno scopriva anche il capo. Attorno silenzio, il brusio ovviamente ineliminabile alla presenza di tantissima gente, era comunque qualcosa di lontano. Silenzio e preghiera. Poi, raggiunto il punto concordato, le bande hanno ripreso il repertorio di marce, il passo è tornato quello solito e la temperatura ha cominciato a far battere i denti a molti.



Davanti alla chiesa di San Giuseppe, l’Addolorata girata in direzione dell’altare, una preghiera e poi di corsa ad infilarsi nella postierla, cercando riparo dal vento che soffiava dal mare. Le altre statue avevano già cominciato ad arrampicarsi per la scalinata. Tra poco sarebbe stato il nostro turno.