venerdì 21 marzo 2014


Claudio Capraro : "Otto giorni"

DOMENICA

Come se fosse un normale giorno lavorativo, Paolo si alzò alle sette. Non doveva andare in ufficio, ma quella era una giornata piena di impegni e non bisognava perdere tempo.

Fece tutto nel massimo silenzio per non svegliare Giulia: bevve il caffè, si lavò e si vestì. In realtà Giulia si era svegliata nel momento esatto in cui Paolo era uscito dal letto, ma si stava concedendo gli ultimi momenti di piacere. Cosa c’è di più bello quando puoi rubare qualche minuto e restare a godere del calore che emana il piumone. Quando ti svegli e poi ti riaddormenti per poi svegliarti ancora. Magari ti riaddormenti con un braccio fuori dal piumone e quando dopo un po’ ti svegli, lo senti ghiacciato e lo infili subito sotto le coperte e godi pian piano del calore che ritorna a dar vita a quell’arto che sembrava surgelato.

“Sei sveglia? Resta a letto, non ti alzare.”
“No, no, adesso mi alzo.”
“Stai. Io vado, torno nel giro di un oretta.”
“Senti….”
“Dimmi.”
“No niente…”
“Dì!”
“Niente, niente.”
“Non ti preoccupare passo anche dai tuoi nonni.”
“Ti amo!”
“Ciao”.

A tanta gente il cimitero mette tristezza, incute timore. Il perché non è difficile da immaginare, ma a Paolo, una visita al cimitero non faceva quest’effetto, anzi gli dava un senso di serenità. Dall’acquisto dei fiori, il percorso tra i vialetti del camposanto, Paolo osservava tutto e gli ritornavano in mente i versi di una poesia di Totò, A livella: “… a morte ‘o ssaje ched’ ‘è? E’ na livella…”, “…muorto si tu e muorto so pur’io…”. 

Di domenica al cimitero incontravi il professionista e il galeotto, la signora bene e la fruttivendola che nonostante avesse perso il suo caro da oltre vent’anni, da quel giorno non aveva mai smesso il lutto e che ogni domenica prendeva l’autobus numero 3 armata di sediolina pieghevole di legno, secchio, scopa e tutto l’altro occorrente per andare a passare tutta la mattina davanti alla tomba del suo caro, intervallando le operazioni di pulizia a momenti passati seduta ora a pregare ora a “tagliare” un po’ con qualche conoscente. Paolo si domandava quanto sarebbe durata quella pulizia su quelle lastre di marmo bianco, quanto ci avrebbe messo la polvere dei parchi minerali a volare e a posarsi su quella foto del caro estinto vestito come Tony Manero. 

“Almeno lui è passato a miglior vita, noi che in questo mondo respiriamo ogni giorno questo e altro, quanto ancora ci resta prima di essere portati orizzontalmente in questo posto?” pensava .

Quel giorno Paolo avrebbe fatto il “giro corto”, quello che prevedeva la visita al suo papà ed ai nonni materni di Giulia. Il “giro lungo” era riservato esclusivamente alla ricorrenza dei defunti e prevedeva altre due tappe nelle cappelle dei nonni materni e paterni di Paolo e da quelli paterni di Giulia, ma richiedeva un tour totale del camposanto e non era quello il giorno adatto. I minuti erano contati. 

Entrò nella cappella di mattoni rossi dove era sepolto suo padre, sistemò i fiori freschi, diede una pulita sommaria e recitò le preghiere, poi si fece la solita chiacchierata con la foto di suo padre. Al termine di questo resoconto che Paolo faceva ad ogni vista, rifece il segno della croce ed uscì salutando il custode che discuteva animatamente sulle partite del campionato di calcio del pomeriggio con un suo conoscente.

Terminata la visita ai propri cari ai quali aveva portato un rametto d’ulivo, Paolo tornò a prendere Giulia e subito di corsa, rispettando la tabella di marcia andarono in Chiesa per la benedizione delle Palme e la Messa. 

Giulia pensava in quei momenti di aver sposato un tedesco non un italiano, anzi un meridionale. Memore di un famoso film di Carlo Verdone, aveva ribattezzato Paolo con il nome di “Furio”.

Fabrizio, si svegliò che erano le nove passate. Da qualche punto imprecisato della casa arrivava un brusio fastidioso; provò ad infilare la testa sotto le coperte ma dopo qualche minuto si arrese e si alzò. 

Era Loredana che passava l’aspirapolvere.

“Ma proprio oggi dovevi passare sta cosa?”
“E quando? Domani?”

Fabrizio entro in cucina per la colazione e fu soffocato da un profumo che a quell’ora del mattino e con i postumi di qualche birra in più la sera precedente, aveva un effetto devastante. In realtà dopo un paio d’ore quel profumo di ragù avrebbe suscitato ben altre reazioni, Fabrizio lo sapeva e sopportò. Sua madre era una cuoca sopraffina, la migliore del mondo per Fabrizio, che in tutta onestà sapeva di non avere poi tantissimi termini di paragone, ma la mamma è la mamma. In realtà c’era stata chi la superava, ma era solo un lontano ricordo, ovviamente era la nonna, la mamma di sua mamma.

“Maà! Maaaaaà!”
“Che c’è? Che stai gridando?”
“Il latte!”
“Subito a mammà!”
“Mà!”
“Eh?”
"Ma st’aspirapolvere…”
“Fabrì, lo sai oggi è festa, la casa deve stare in ordine. Oggi pomeriggio devono venire zia Rosa, zia Immacolata, Zio Lino, la signora Peluso, Cesira…”
“Nessuno più?”
“No, nessuno più, poi dobbiamo andare noi dalla signora Rendano, dalla signora Russo, da zia Vita, da zia…”
“Basta così! E’ pronto il latte”
“Subito al figlio mio!”

Erano ormai molti anni che una delle manifestazioni collaterali ai riti della Settimana Santa era diventato un appuntamento fisso non solo per tutti i confratelli del Carmine e dell’Addolorata, ma per tutti i tarantini che avevano a mente quell’appuntamento o che si trovavano a passare di li per caso, per la passeggiata domenicale, magari con una guantiera di paste della “Gardenia” in mano. La domenica delle Palme in piazza della Vittoria si inaugurava una mostra fotografica sui riti; a quella inaugurazione partecipava una banda musicale che eseguiva alcune marce funebri. 

I motivi di interesse erano differenti: guardare le foto della mostra sperando di trovare in qualcuna di queste la propria immagine o quella di qualche amico, sentire per la prima volta, dopo circa un anno, le note delle marce all’aria aperta, per strada, perché non è la stessa cosa che sentirle, come era avvenuto nei giorni precedenti, a San Domenico oppure in un teatro. Soprattutto era una delle ultime occasioni per tirare le somme. Mancavano ormai poche ore alle Gare e bisognava capire. Bisognava trovare un compagno per chi ancora non lo avesse, capire fino a che cifra ci si potesse spingere, capire chi erano le squadre in corsa e per quale simbolo. C’era anche chi tentava di capire le “tendenze del mercato”, facendo riferimento alle situazioni economiche locali, nazionali o mondiali.

“St’anno con ‘sta crisi, vanno basse le offerte.”
“Ma che cosa. ‘Sta sera devi vedere!”

E cosi via e man mano ai due novelli Keynes e Modigliani, se ne affiancavano altri due, tre, quattro. Poi ognuno di questi lasciava questo capannello per entrare a far parte di quello vicino, dove l’argomento era differente, ma anche per quello il maitre-à-penser nostrano aveva in serbo un suo pensiero profondo.

La realtà è che le Gare della Domenica delle Palme non hanno nulla a che vedere con nessuna situazione economica e chiunque, a priori, avesse voluto fare delle previsioni, puntualmente le avrebbe viste sconfessate.

Paolo e Giulia si aggiravano tra i pannelli giganti con le foto in bianco e nero della mostra. Paolo era rapito dalla note di “Mamma” e non vide Franco il suo caro amico, fu Giulia a farglielo notare.

Mentre Paolo e Franco chiacchieravano, si avvicino a loro un’altra coppia.

“Vi conoscete?” chiese Franco.
I due non risposero, fecero la stessa espressione con il volto, a voler dire: forse?

“Lui è Fabrizio e lui è Paolo.”
“Piacere.”
“Piacere.”

Dopo qualche altro minuto di chiacchiere il gruppo si divise ed ognuno prese la sua strada. La tabella di Paolo - Furio prevedeva ancora, prima di pranzo, gli auguri ai suoceri. Bisognava accelerare. In realtà Paolo avrebbe voluto spostare le lancette dell’orologio alle sei del pomeriggio. Bisognava aver pazienza. Come volavano le farfalle nella pancia!

Fabrizio uscì da Sant’Agostino amaro e scuro in volto. Gianni il suo compagno non aveva voluto saperne, era stato irremovibile. Fabrizio aveva provato a cercare un altro compagno per una posta nella processione dell’Addolorata, ma non c’era stato verso: tutto era già definito e chi come lui era rimasto “scoperto”, alla fine non aveva grossi mezzi da investire e quindi non si era rivelato una valida alternativa.

Gianni aveva provato ancora a convincerlo a prendere una posta per il pellegrinaggio al Carmine, ma Fabrizio non aveva voluto saperne. Voleva fare la processione e la voleva fare per la sua “Mamma”, per l’Addolorata. Man mano che le chiamate della gara per la processione dell’Addolorata si erano susseguite e avendo capito che le sue speranze si andavano riducendo al lumicino, Fabrizio aveva iniziato a pensare che una valida alternativa poteva essere una posta alla processione dei Misteri. Per lui “fratello” di entrambe le maggiori confraternite, ma fedelissimo della mozzetta nera era quasi un ripiego. Aveva provato a convincere Gianni di questa nuova prospettiva, ma le motivazioni del suo amico erano sempre le stesse e non ci fu verso di convincerlo.

Questi pensieri affollavano la mente di Fabrizio mentre attraversava il ponte girevole per tornare al borgo; subito dopo il ponte lo aspettava il circolo sottufficiali della Marina e l’altra gara. La giornata era stata bella e mite e il sole alle sue spalle ormai tramontava. Un venticello leggero gli alzava i capelli e con le mani infilate nelle tasche del giaccone ripensava come era cambiato in poche ore il suo umore. Qualche ora prima era felicissimo per una insperata vittoria fuori casa del Taranto, roba da non credere, e adesso era triste e sfiduciato.

Paolo trovò parcheggio in via Pitagora ed arrivò alla rampa Leonardo da Vinci alle sette in punto. I cancelli del circolo erano ancora chiusi; al di la si vedevano le guardie giurate, qualche militare in divisa, ma ancora nessuno della confraternita.

Oltre le ciminiere il sole, una palla arancione andava scomparendo. Dopo una rapida occhiata in giro, Paolo percorse la ripida scalinata che lo portava giù all’ingresso e cercò qualche volto amico per scambiare due chiacchiere.

Gli argomenti erano i soliti, ma uno era quello maggiormente attuale: chi si era aggiudicato i simboli all’Addolorata e a quali cifre.

Mentre si chiacchierava tutti fremevano, qualcuno con il libretto di iscrizione in mano, pronto a schizzare dentro appena avessero aperto i cancelli, qualcun altro che avrebbe aspettato con calma che fosse finita la ressa all’entrata per poi farsi avanti.

Poi arrivarono il Priore, il Padre Spirituale ed i componenti del Consiglio di Amministrazione e finalmente fu concesso di entrare.

Paolo ricordava con nostalgia le sue prime gare nel salone dell’Amministrazione Provinciale in Via Anfiteatro. Per qualche motivo che non riusciva a spiegarsi quel posto lo trovava più familiare del circolo sottufficiali, ma alla fine una volta dentro e quando finalmente veniva richiamato l’ordine ed il silenzio con il suono della troccola, tutto cambiava. Finalmente. La tensione era a mille. Le chiamate che avrebbero interessato Paolo sarebbero arrivate di li a qualche ora, ma la tensione era alta in tutti quelli che erano presenti in quella sala. 

Il padre spirituale invitò tutti quanti a recitare una preghiera chiedendo la benedizione della Vergine del Carmelo su quell’assemblea ed il segretario cominciò le chiamate.

Fabrizio guardava con un misto di curiosità e nello stesso tempo di derisione i confratelli che venivano alle gare organizzati di tutto punto, con il prospetto delle offerte degli ultimi anni e che seguivano chiamata per chiamata. Pensava che il segretario si sarebbe potuto anche assentare, ma molti altri avrebbero potuto sostituirlo nel tener conto delle varie offerte.

Fatto sta che però, poi nel corso delle chiamate per i simboli più importanti anche lui si trovasse a chiedere ad uno di questi “ragionieri della settimana santa”, quanto fosse stato pagato il simbolo in licitazione in quel momento un anno prima o altre informazioni del genere.

Paolo assistette alla chiamate di tutti i simboli della processione dei Misteri, alzandosi di tanto in tanto per sgranchirsi le gambe e uscire a respirare un po’ d’aria fresca.

Nel frattempo la serata era diventata fredda, un vento pungente soffiava dalle colline di Martina e delle nubi si addensavano all’orizzonte. 

“Si prepara davvero la settimana Santa” pensò.

Arrivato il momento delle chiamate per il pellegrinaggio, Paolo e Franco ripresero posto nel salone e si scambiarono gli ultimi consigli. Franco chiese a Paolo di poter effettuare le chiamate e Paolo non rifiutò. Si cominciava con il pellegrinaggio città vecchia, quello che a loro due interessava.

Ovviamente la chiamata per la prima posta di “città”, fu assai combattuta. Alla fine prevalse una coppia di veterani, che però dovettero sudare sette camice con i loro antagonisti di oltre cinquant’anni più giovani ed intenzionati a scalzare la vecchia guardia, ma i due erano decisi a non mollare l’osso ed alla fine poterono gioire, compostamente.

Paolo pensava a quanto sarebbe stato bello se tutti fossero riusciti a manifestare la loro gioia per l’aggiudicazione tanto di un simbolo importante quanto di una delle ultime poste del pellegrinaggio senza bisogno di lasciarsi andare ad esultanze da stadio. Quei due confratelli che si erano aggiudicati la prima posta città vecchia suscitarono l’ammirazione di Paolo che se non avesse temuto di rendersi ridicolo, si sarebbe alzato e sarebbe andato a stringere loro la mano.

Paolo e Franco avevano deciso di iniziare a chiamare dopo l’aggiudicazione della decima posta, ma seguirono con molto interesse tutte le chiamate per le poste precedenti.

Arrivato il momento topico, quando il segretario scandì: “undicesima posta città vecchia”, a Paolo mancò il fiato. Avrebbe voluto cambiare idea e fare lui le chiamate, ma doveva tenere i nervi a bada ed aspettare.

“Undicesima posta città vecchia….” declamò il segretario, facendo seguire il valore dell’offerta, il nome del confratello che l’aveva fatta ed iniziando a chiamare: “uno.”

“Undicesima posta città vecchia…. due.” Paolo era una molla, avrebbe voluto saltare dalla sedia.

Finalmente Franco parlò e fece la loro offerta. Paolo tirò un sospiro.

Si andò avanti per circa cinque minuti che a Franco e Paolo sembrarono un’eternità. I loro più acerrimi avversari furono una coppia formata da un padre e da suo figlio. Quando Paolo capì il grado di parentela che legava i loro antagonisti, pensò per un momento di suggerire a Franco di lasciare, ma poi si disse che i due avrebbero avuto ancora tante altre poste da poter chiamare e che quella sarebbe stata la “loro” posta.

E finalmente il segretario riuscì a scandire:

“Undicesima posta città vecchia…. e tre!” senza essere interrotto e Paolo e Franco si abbracciarono e andarono a stringere la mano dei loro avversari.

Intorno alle ventitré e trenta Paolo, salì al primo piano con il bigliettino che il segretario gli aveva consegnato: undicesima posta città vecchia e poi di seguito il suo cognome e l’importo da pagare.

Era felice, lui era il più anziano e quell’anno si sarebbe vestito a Decor, cioè il confratello a destra della posta. Sarebbero toccati a lui una serie di compiti durante il pellegrinaggio che aveva già iniziato a ripassare nella mente.

Dopo aver assolto agli obblighi amministrativi, Paolo e Franco, felici per aver raggiunto l’obiettivo che si erano prefissi, tornarono giù nel salone. 

“Uè Fabrì, ciao, come và?” chiese Franco all’amico che quella stessa mattina aveva presentato a Paolo in piazza della Vittoria.

“Mah?”
“Che c’è? Hai preso qualcosa all’Addolorata?”
“Ma che, Gianni mi ha lasciato solo. Mò voglio vedere se riesco a prendere una posta alla processione.”

E dopo essersi scambiati pareri su chi poteva essere un compagno per Fabrizio e sul budget a disposizione i tre si salutarono.

“Frà, io vado. E quasi mezzanotte e domani mattina lavoro.”
“Vabbè, io resto un’altra oretta.”
“Ok. Ci sentiamo per telefono, in ogni caso ci vediamo martedì sera dalle monache.”
“Si, si nel caso ci vediamo martedì sera.”

Si abbracciarono e si baciarono; Paolo tornò a casa dove Giulia era a letto, dormiva con la tv accesa, ma si svegliò non appena sentì il rumore della chiave nella toppa.

“Ciao.” disse con la voce impastata di sonno.
“Ciao amore mio.”
“Beh?”
“Undicesima posta città vecchia, con Franco!”
“Bravo, amore mio. Quanto hai speso?”
“Non ti preoccupare, meno di quello che avevamo previsto.”
“Umh.”
“Mò dormi.”
“Buonanotte.”
“Buonanotte.”

In realtà a Giulia sapere quanto Paolo avesse speso, interessava relativamente. Le finanze familiari non era particolarmente floride, ma nel momento in cui aveva sentito che suo marito si era aggiudicata una posta del pellegrinaggio sapeva che la spesa sostenuta era accettabilissima. Differente sarebbe stato se Paolo le avesse detto di aver preso un simbolo della Processione dei Misteri. Quella sua domanda era semplice curiosità, sapeva quanto Paolo ci tenesse e quanto risparmiasse durante tutto l’anno per quella occasione.

Paolo si infilò nel letto e cominciò a smanettare con il televideo, conosceva a malapena i risultati sportivi di quella domenica. Seguiva calcio, basket, volley, ma quella domenica pomeriggio aveva abbondato tutti ed ora voleva rifarsi. Soprattutto non aveva sonno. Tra meno di sette ore avrebbe dovuto alzarsi, ma l’adrenalina in circolo era ancora tanta e doveva addormentarsi pian piano. Il primo passo, quello più importante, era fatto, ma adesso ce ne erano ancora tanti.

Fabrizio, grazie all’aiuto di Franco, trovò un probabile compagno per chiamare una posta nella processione dei Misteri. Stabilirono il tetto delle somme a propria disposizione, decisero quale tattica adottare, e chi avrebbe effettuato le chiamate.

Aspettarono le chiamate delle poste di Cristo morto, dell’Addolorata e della Sindone, poi intuito l’andazzo iniziarono a chiamare dalla anche loro.

Chi chiamava era Enzo, il compagno di Fabrizio. Avevano più o meno la stessa altezza, stessa stazza, Enzo era qualche anno più grande di Fabrizio, aveva una piccola azienda di accessori per ufficio. Fisicamente componevano una posta perfetta.

Per il Crocifisso, le offerte scesero un po’ e Fabrizio ed Enzo riuscirono ad aggiudicarsi la seconda posta davanti a quella statua.

Finite tutte le incombenze, Fabrizio ed il suo nuovo compagno si salutarono. Era l’una e un quarto e alle sette Fabrizio doveva montare di primo turno.


Corse a casa e mentre guidava mandò un sms a Daniela. Avrebbe ricevuto la risposta la mattina dopo, ma andava bene così. Fabrizio era felice. Aveva cambiato i suoi progetti in corsa, ma alla fine aveva raggiunto un risultato che gli stava bene. Certo il suo pensiero ogni tanto tornava alla mozzetta nera, a San Domenico, alla sua Mamma, ma ormai erano pensieri inutili. Doveva concentrarsi sul suo ruolo per quell’anno. L’Addolorata l’avrebbe vista da un marciapiede e di lì Le avrebbe indirizzato le sue preghiere.