venerdì 28 marzo 2014


Claudio Capraro: "Otto giorni"

MARTEDI

Fin dal mattino il cielo era stato minaccioso e cupo e Paolo si era più volte chiesto quando sarebbe scoppiato il temporale. Non era caduta una goccia; a volte il vento soffiava forte e alzava mulinelli di foglie secche e cartacce sparse per strada, altre volte si fermava completamente e l’aria sembrava statica. In quei brevi momenti sembrava che tutto fosse immobile. Paolo credeva per qualche istante di avere dei tappi nelle orecchie, quelli che ti fanno sentire i suoni lontani, ovattati. Intuiva che i suoi sensi volevano dirgli qualcosa, volevano avvisarlo che qualcosa stava per accadere, ma non aveva il tempo di fermarsi ad ascoltare, a riflettere.

Poi ad un certo punto verso le cinque del pomeriggio il cielo diventò ancora più scuro e mentre Paolo era intento nel suo lavoro, sentì da lontano un rumore strano, ma nello stesso tempo atteso. Andò a sbirciare dalla finestra e vide che pioveva. Era una pioggia sottile sottile, ma che in pochi minuti aveva già reso completamente lucido l’asfalto. Non era una buona notizia, ma Paolo non fu dispiaciuto. Se l’aspettava. Sapeva che sarebbe arrivata la pioggia, altrimenti che Settimana Santa sarebbe stata. Adesso tutti quanti i confratelli (sia che si fossero aggiudicato un simbolo o meno) avrebbero dimostrato la loro competenza metereologica nel fare le previsioni per i giorni a venire. Tutti avrebbero consultato le previsioni del tempo in tv o su internet e si sarebbero preoccupati per quello che sarebbe potuto accadere in caso di pioggia. Si sarebbero fatte strada in città - perché i Riti non riguardano soltanto i confratelli dell’Addolorata e del Carmine, ma riguardano tutta quanta la città ed una grandissima fetta di tarantini che vivono lontani dai due mari – una serie di teorie su cosa sarebbe accaduto se fosse venuto a piovere durante lo svolgimento di una delle due processioni, dove si sarebbero potute riparare la statua dell’Addolorata o le statue dei Misteri, cosa sarebbe accaduto se la sosta per ripararsi dal cattivo tempo fosse durata più di un certo tempo; ognuno avrebbe avvalorato la sua teoria con il racconto fattogli da qualche amico o parente che “aveva visto di persona” o che “era amico del fratello, del cognato di un confratello” e che quindi non poteva non sapere bene cosa prevedessero i regolamenti in casi come quelli.

Paolo riprese posto alla scrivania e si affrettò a terminare il suo lavoro; aveva ancora un giorno e poi avrebbe preso giovedì e venerdì di ferie e quindi per mercoledì sera doveva assolutamente chiudere tutte le pratiche ancora aperte. Non che avesse tantissimi giorni di ferie, anzi, ma avrebbe rinunciato volentieri ad una parte delle ferie estive a favore di quei due giorni per poter vivere pienamente ed intensamente tutto ciò che lo attendeva.

A differenza del giorno precedente, quella fu una giornata tranquilla per Fabrizio. Era di secondo turno, quindi di pomeriggio. La mattina si era potuto alzare con calma ed aveva atteso in casa la telefonata di Daniela che era arrivata alle dodici e trenta. Finalmente, mentre stava per mangiare un boccone prima di andare a prendere servizio, il telefono squillò: “procedura penale, ventotto.” Fabrizio fu felice, ma Daniela non poté dilungarsi, doveva correre se voleva riuscire a prendere l’autobus della Sud-Est e tornare a casa il prima possibile. Si salutarono e si diedero appuntamento alla sera.

Quel pomeriggio sugli impianti volò in un baleno. Per fortuna l’aria era più serena rispetto al giorno precedente e Fabrizio ad un certo punto poté fermarsi e telefonare al suo compagno di posta.

“Ciao Enzo, Fabrizio sono. Ti disturbo?”
“No, no, dimmi, dimmi.”
“Ti volevo sentire. Tutto a posto? Pronti?”
“Si pronti. Hai visto che pioggia?”
“Ho visto, ho visto, ma non ti preoccupare tanto mò scampa.”
“Speriamo. Senti che devi fare stasera, devi passare dalle suore di piazza Immacolata?”
“No Enzo, sono di turno e quando esco stasera vado a prendere la mia ragazza che stamattina ha fatto l’esame a Bari. Tu che fai? Vai?”
“Io? Si vado a fare una scappata.”
“Vabbè mo ti devo lasciare, ci sentiamo prossimamente.”
“Ok, mi faccio vivo io domani così ti racconto di stasera, comunque domani c’è la riunione in confraternita…”
“Madò è vero! E allora ci vediamo domani sera in congrega.”
“Vabbè allora a domani.”
“Ok. Ciao a domani.”
“Ciao.”

Paolo, fece lo slalom nel traffico per arrivare in centro e soprattutto, una volta arrivato, trovare un parcheggio per l’auto. Come al solito bastava un po’ di pioggia per far impazzire gli automobilisti. In realtà nel giro di poco più di una ora si era passati da una pioggerella ad un vero e proprio temporale. I tergicristalli erano alla velocità massima e nonostante ciò la visibilità non era delle migliori. Fece un paio di giri alla ricerca di un posto, poi alla fine si arrese e parcheggiò in prossimità di un incrocio, sulle strisce pedonali, confidando nella annosa assenza di vigili urbani per le strade della città, figurarsi poi con quell’acqua.

Prese l’ombrello che aveva nel bagagliaio, ma nel tempo necessario per effettuare quella operazione si bagnò comunque. Attraversò velocemente, al centro della strada, l’ultimo tratto di via Berardi e spuntò in piazza Maria Immacolata. Diede uno sguardo veloce a destra e a sinistra: via Di Palma e via D’Aquino erano deserte, c’erano pochissime persone che si affrettavano sotto il diluvio. Percorse un breve tratto di via Mignogna e finalmente trovò riparo nell’androne dell’Istituto “Maria Immacolata”. Passò davanti al gabbiotto e come ogni volta pensò alla suora che era lì dentro come ad un ufficiale di picchetto all’ingresso di una caserma. Si trovò nel corridoio dell’Istituto e passò dal rumore del traffico e della pioggia al silenzio assoluto. Si sentiva appena il rumore dei passi ed un leggero brusio prodotto dai confratelli che qualche metro più avanti riempivano la cappella.

Paolo entrava in quella cappella una volta all’anno, in quella occasione, e riceveva sempre la stessa impressione. Quel luogo era differente da tutte le altre cappelle, chiese o chiesette conosciute. Le altre, antiche o moderne, avevano comunque un filo conduttore, erano chiese dell’Italia meridionale. A Paolo, invece, quella cappella dava la sensazione di non trovarsi in Italia. Ogni volta che ci entrava e vedeva la figura della Vergine su di una nuvola, con dietro una luce bluette a voler significare il cielo, le stazioni della Via Crucis di un insolito colore blu, le vetrate con i disegni colorati, Paolo aveva la sensazione di essere in un luogo diverso, nel quale era stato qualche anno prima: a Parigi, in Rue du Bac, nella cappella della “Madonna del Miracolo”.

Ritornò velocemente alla realtà, diede una occhiata in giro alla ricerca di volti noti e soprattutto di Franco. Non lo vide, ma sapeva che sarebbe arrivato, d'altronde con quel traffico e quella pioggia. Salutò qualche amico e scambiò qualche frase di circostanza. I sacerdoti avevano già cominciato le confessioni; c’erano i padri spirituali delle due confraternite, ed una serie di altri sacerdoti a disposizione di tutti i confratelli per il Sacramento della riconciliazione.

Paolo decise di sedersi prima un attimo a pregare e a raccogliere le idee. Lui si confessava regolarmente con il suo parroco “di fiducia”, quello che aveva celebrato le sue nozze e che quindi sapeva tutto di lui e al quale non era necessario fare un “riassunto delle puntate precedenti”. In questo caso era diverso, chi avrebbe confessato Paolo avrebbe avuto bisogno di una introduzione per meglio comprendere quello che avrebbe ascoltato. Scelse un banco centrale e guardando l’immagine della Vergine iniziò a pregare.

Ogni tanto faceva una sosta e si guardava in giro e vedeva le file di confratelli vecchi e giovani, di gente che si era aggiudicata simboli e altri che sarebbero stati “su un marciapiede”, di consorelle che attendevano il loro turno per confessare ognuno le loro mancanze e gli tornarono alla mente le tante stupidaggini che ogni volta che si parlava di Riti o di confraternite, doveva ascoltare sul conto dei confratelli. Avrebbe voluto che quella gente ora fosse lì, a vedere, avrebbe voluto che quella gente capisse davvero cosa significa vestire l’abito di una confraternita, calarsi un cappuccio sul volto, camminare a piedi scalzi, portare un peso sulle spalle per tante e tante ore, solo per Amore. Per un amore immenso. Avrebbe voluto parlare con tutte queste persone e fare in modo che lo ascoltassero, che capissero, ma non era possibile convincere tutti delle proprie idee, ovviamente, ma almeno sperava che tanta gente avesse evitato di buttare fango inutilmente soprattutto senza conoscere a fondo l’argomento. Certo, come sempre, c’era l’altra faccia della medaglia e cioè che davvero qualche confratello faceva tutto il possibile (e magari anche di più) per dar modo alla gente di parlare e parlar male. Anche in questo caso non sarebbe stata impresa facile convincere queste “teste gloriose” a cambiare il loro modo di pensare e di agire. Una preghiera perché le loro menti fossero state illuminate sarebbe potuta essere una buona idea.

Si guardò in giro per decidere quale fila prendere per confessarsi e per vedere se fosse arrivato il suo compagno. Vide Franco che invece si era già sistemato in una delle prime file ed era quasi arrivato il suo turno, si salutarono con lo sguardo e si fecero cenno: “a dopo”.

“Bè? Tutto a posto?”
“Tutto a posto. E tu? Che pioggia.”
“Speriamo….”
“Ho visto le previsioni, portano pioggia fino a sabato.”
“E ti pareva.”

E continuando a chiacchierare Paolo e Franco uscirono nel corridoio, dove man mano tutti quanti si erano sistemati per scambiare qualche parola senza disturbare chi era ancora dentro. Ogni tanto passava una suora ed invitava tutti ad abbassare il tono della voce. Come al solito i gruppetti erano in continua evoluzione: c’era chi costituiva il nucleo e chi passava da un gruppetto a quello immediatamente vicino per passare da un argomento ad un altro.

Quando si accorse che si era fatto tardi, Paolo salutò tutti e se ne tornò a casa per cena. Dal lunedì Giulia aveva ricevuto disposizioni tassative a proposito dell’alimentazione di suo marito che soffrendo di tutti i problemi noti e meno noti a carico dell’apparato gastrointestinale, in quei giorni si sarebbe nutrito esclusivamente di riso in bianco con una spolverata di parmigiano, carne ai ferri, mele e banane. 

“Che amarezza!”, pensò mentre si sedeva a tavola, ma era un sacrificio che faceva volentieri pensando alle motivazioni che lo avevano determinato.

Uscito dalla stabilimento, Fabrizio che si sentiva a pezzi, fece un salto veloce a casa di Daniela. Lei era stanca e non aveva voglia di uscire, lui era combattuto tra la voglia di vedere un po’ il suo amore e il desiderio di tornare a casa e sdraiarsi nel letto. 

A casa di Daniela avevano cenato da un pezzo ed erano tutti davanti alla tv: i suoi futuri suoceri e la sua futura sposa. Il fratello di Daniela non c’era, sicuramente doveva essere andato a giocare a calcetto. La padrona di casa insistette con Fabrizio perché accettasse qualcosa per cena. Lui rifiutò, non perché non avesse fame, ma perché voleva sfruttare quei brevi momenti non per mangiare, ma per stare un po’ con il suo futuro avvocato; ormai era a meno tre esami!

C’era un altro motivo per il quale Fabrizio rispondeva no alle sollecitazioni della mamma di Daniela: ritornare a casa e comunicare alla madre di aver già mangiato e soprattutto di averlo fatto a casa della suocera… “apriti cielo!”. 

Alla fine davanti ad una cotoletta con contorno di patatine fritte, le sue resistenze cedettero e si accomodò a tavola.

Mentre cenava, i genitori di Daniela gli rivolsero qualche domanda sui Riti, su ciò che lo aspettava nelle prossime ore. Quando Fabrizio aveva la bocca piena, interveniva in suo soccorso Daniela, informatissima quanto e forse anche più di lui.

Finalmente i due, riuscirono ad avere un po’ di intimità. Finito di cenare, i genitori si ritirarono saggiamente in camera da letto e lasciarono il tinello ai due piccioncini. 

Chiacchierando un po’ di tutto, della prossima laurea di Daniela, del lavoro di Fabrizio, del loro futuro, delle processioni dei giorni a venire, si fece l’una senza i che se ne fossero accorti. A quel punto Fabrizio, schizzò via e se ne tornò a casa. 

Appena fu entrato in auto, d’improvviso sentì tutta la stanchezza che per un paio d’ore grazie alla vicinanza di Daniela, aveva dimenticato.