lunedì 24 marzo 2014

Mattia Giorno


Ha avuto luogo giovedì 20 marzo la prima predicazione quaresimale di Mons. Marco Gerardo relativa al Sacramento della Riconciliazione.

Il titolo scelto dal padre spirituale dell’Arciconfraternita per l’occasione è stato: “Sacramento della riconciliazione: lettino dello psicologo? Tribunale del giudizio? Salotto delle confidenze o luogo della sincerità e della misericordia?”

È il titolo stesso a delineare il senso ultimo della catechesi, ossia il sacramento della confessione come luogo della misericordia di Dio e non come luogo del giudizio finale.

Come più volte Don Marco ha ricordato durante la sua predicazione, la confessione, maggiormente rispetto agli sacramenti, è il luogo dove è possibile comprendere l’amore e la misericordia di Dio. Essa non deve essere il momento per raccontare al sacerdote le ansie, le preoccupazioni ed dubbi su come affrontare le situazioni della vita. La confessione deve bensì essere un momento di sincerità per mezzo della quale aprirsi al sacerdote per ottenere la misericordia di Dio. Non una semplice seduta da uno psicologo, ma un’apertura sincera davanti al ministro di Dio in terra.

La confessione non deve nemmeno incutere, nel fedele, la paura del giudizio. Il sacerdote, per il tramite dello Spirito di Dio, emana una sentenza spirituale. Di per sé il termine “sentenza” da l’immagine di una confessione legalista ma, come ha ricordato Don Marco, si è alla presenza di una sentenza di assoluzione, un giudizio di misericordia. Nel progetto di Dio tutto è stato effettuato nel modo giusto: egli fa amministrare il sacramento della confessione ai sacerdoti, esseri umani come noi, i quali capiscono le debolezze e le tentazione dell’uomo. Per questa ragione non va vista la confessione come tribunale del giudizio ma, ancora una volta, come luogo dove è possibile comprendere l’amore di Dio. Se si concepisce il momento della riconciliazione come momento del giudizio si rischia di temere una condanna, probabile causa questa della non completa apertura verso il sacerdote nel riconoscimento dei propri peccati, condizione questa che necessita di essere superata.

Don Marco ricorda come per sentirsi liberi e non tristi, per fare vera esperienza della libertà, bisogna sempre dire la verità al confessore. Il penitente deve aprire il cuore al ministro di Dio, elencando sia i peccati che le azioni positive. Il consiglio che Don Marco ha dato è stato proprio questo: vivere la confessione come confessione dei peccati e come confessione di lode, elencando anche ciò che c’è stato di buono.

Un’altra ammonizione espressa dal padre spirituale durante la sua catechesi è stata quella di non confondere la confessione con un salotto per le confidenze, si rischia in questo caso di non dire i propri peccati al confessore. Bisogna vivre con una coscienza delicata, capace di accorgersi dei propri peccati. Tutte ragioni queste per vivere la confessione con sincerità, perché diventi espressione della misericordia di Dio. Può sembrare banale ma in realtà racchiude in sé un profondo senso di verità l’esempio presentato da Don Marco: la confessione deve essere come una visita dal medico, bisogna dire i propri mali per avere una giusta diagnosi ed una giusta cura. Dire quindi tutti i propri peccati, dirli con sincerità per essere abbracciati dalla misericordia perché Dio non si spaventa né si disgusta dei nostri peccati; non si stanca di ascoltarli come non si stanca di abbracciarci e donarci il suo perdono.

Questo, sommariamente, è il contenuto della prima catechesi di Don Marco, primo aiuto per comprendere bene cosa è la confessione e come fare per viverla nel modo più opportuno.

Il resto, per scoprire la bellezza e l’importanza di questo sacramento, ci sarà esposto nei prossimi due appuntamenti ai quali tutti sono invitati a partecipare.