venerdì 6 novembre 2015

Claudio Capraro

Arrampicato su una scala di ferro, in equilibrio abbastanza precario, sto cercando di pulire al meglio. La polvere e soprattutto il minerale hanno reso il bianco del marmo ormai grigio. Cerco di spolverare almeno i portafiori ed i lumi, mentre alle due fotografie dedico maggiore cura sino a quando non vedo i vostri volti tornare a splendere. Tanto lo so che qualche giorno e tutto sarà nuovamente coperto di sporcizia.

Mentre compio questa operazione, strofinando quegli ovali con le vostre immagini all’interno, mi si affollano alla mente i ricordi di tutta la mia vita, o almeno degli anni passati con voi. Un numero differente per ciascuno. Con qualcuno di più, con altri di meno. E mentre sembra che mi guardiate fisso negli occhi, quasi a voler scavare nella mia anima, chi con un sorriso accennato, chi con sguardo severo, ricordo alcuni particolari lontanissimi di ciascuno di voi, magari legati proprio a quelle immagini. Fotografie che sono state scelte nella fretta del momento, col marmista che pressava per poter concludere il suo lavoro. Scattate probabilmente in qualche occasione particolare, quando indosso avevate l’abito buono, quello della festa. Gli uomini in giacca e cravatta, le donne con un filo di perle al collo.


Non vengo da una famiglia in cui c’erano iscritti alle Confraternite; anzi sono tarantino solo da parte di madre, i miei nonni paterni nati ad inizio secolo scorso, erano arrivati in riva ai due mari per cercare fortuna a cavallo delle due guerre: uno dalle Calabrie (come si diceva la tempo) e l’altra dalla provincia di Brindisi. Gli altri nonni invece avevano come baricentro delle loro vite la strada Maggiore in città vecchia. Eppure i miei ricordi di bambino relativi alla settimana Santa sono legati e loro, ai nonni, ed ovviamente a mio padre che il grande amore per i riti e più in generale per questa città, a volte madre e a volte matrigna, mi trasmise.

I nonni paterni abitavano in via Anfiteatro tra via Giovinazzi e via De Cesare, quindi ad un passo dalla chiesa del Carmine. Quella chiesa e ciò che vi accadeva in quei giorni di inizio primavera mi affascinarono da subito. Ho vissuto in quella casa per circa un anno, insieme con i miei nonni e ho sempre cercato una scusa per poter passare da quell’angolo dove un tempo c’era la Sem, soprattutto quando tolta l’ormai vecchia Befana che si muoveva sulla scopa, in maniera ogni anno sempre più approssimativa, veniva pubblicizzato tra i frutti di mare in pasta di mandorle il veglioncino per bambini di carnevale; lì di fronte, sull’altro marciapiedi, era tutto un fermento che guardavo a distanza, che capivo poco, ma che mi affascinava già tanto. Il giovedì Santo accompagnato da loro, dai nonni, dopo aver portato i taralli preparati in casa, a cuocere nel forno del panificio che distava pochi metri, si andava in giro per Sepolcri ed io rapito, non volevo più tornare a casa, anche quando orami era sera tardi. Mi convincevo a fatica, poi prendevamo la strada del rientro e si cenava con i miei che intanto ci avevano raggiunto dal lavoro, mentre nella tv in bianco e nero guardavamo Mike Bongiorno che presentava Rischiatutto.

Gli altri nonni, invece avevano deciso di lasciare la città per la campagna. Da viale Virgilio alle Tre Fontane, in maniera che la nonna potesse sfogare la sua passione per piante e fiori. E considerata la distanza, dalla città (arrivarci con la circolare nera o con la rossa, equivaleva ad affrontare un vero e proprio viaggio), dalla domenica delle Palme, la nonna allestiva in casa un piccolo Sepolcro, un altarino che addobbava con i fiori profumatissimi del suo giardino, profumo che spesso in quei giorni si mescolava a quello di taralli e scarcelle.


Chissà come mai, ma quasi sempre i miei pensieri vanno a finire sempre lì; hanno coordinate spazio temporali sempre uguali: un preciso periodo dell’anno tra fine inverno ed inizio primavera ed un quadrilatero ben individuato nelle perpendicolari del borgo umbertino. Anche oggi che sono qui, davanti a voi con questi fiori da sistemare nei vasi, con le mie preghiere per le vostre anime, davanti ad ogni loculo ripenso ai tanti momenti passati insieme con te papà e con voi nonni e sempre i miei ricordi si intrecciano con quelli della settimana Santa che grazie ai vostri piccoli, forse anche insignificanti gesti, mi avete insegnato ad amare.

Conclusa la visita ai familiari, in questa “triste e mesta ricorrenza”, è d’obbligo una visita alle cappelle della Congrega, dove riposano ex amministratori, persone che non ho mai avuto il piacere o la fortuna di conoscere e anche tanti amici, cari amici, fratelli, appunto.