martedì 24 novembre 2015

Antonino Russo

Con la solennità di Cristo re, la Chiesa vuole ricordare che per i cattolici il Signore è il Re della storia e del tempo.

Nel Vangelo, Gesù di Nazareth si è presentato come un re, ma il suo regno non è di questo mondo. Anche se inizia ad edificarsi quaggiù, non fa alcuna concorrenza ai regni terrestri. Durante tutta la sua vita pubblica, Gesù è stato molto attento affinché la sua missione non assumesse dei connotati politici. Più volte lo vogliono fare re (basti pensare all’episodio della moltiplicazione dei pani) ma ogni volta egli si sottrae.

Storicamente la festa nasce nel 1899 quando papa Leone XIII stabiliva, l'11 maggio, la consacrazione universale degli uomini al Cuor di Gesù. Nello stesso anno il gesuita Solaro scrisse a tutti i vescovi italiani perché sottoscrivessero una petizione per chiedere l'istituzione di una festa liturgica. Seguirono altre suppliche presentate a papa Pio XI con le quali si chiedeva: «Per riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall'ateismo ufficiale, la Santa Chiesa si degni stabilire una festa liturgica che, sotto un titolo da essa definito, proclami solennemente i sovrani diritti della persona regale di Gesù Cristo, che vive nell'Eucaristia e regna, col Suo Sacro Cuore, nella società». La domanda fu sostenuta da duecento ordini e congregazioni religiose, dodici università cattoliche e da petizioni firmate da centinaia di migliaia di fedeli in tutto il mondo. Finalmente papa Pio XI stabilì la festa con l'enciclica Quas Primas dell'11 dicembre 1925. Dice il Papa nell'Enciclica:

«E perché più abbondanti siano i desiderati frutti e durino più stabilmente nella società umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della regale dignità di nostro Signore quanto più è possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun'altra cosa possa maggiormente giovare quanto l'istituzione di una festa particolare e propria di Cristo Re.»


Nella forma ordinaria del rito romano, la festa coincide con l’ultima domenica dell’anno liturgico. Origène, sacerdote considerato uno tra i principali scrittori e teologi cristiani dei primi tre secoli, scriveva:

Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l'attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell'anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in lui abita. Così l'anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell'anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell'affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).

Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l'Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del Verbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10).