lunedì 9 febbraio 2015


Valeria Malknecht 

La nostra settimana santa è un evento tutto tarantino, che riguarda da vicino la nostra città e che la nostra gente sente e vive in modo del tutto particolare.

Alcuni di noi, anzi molti di noi, convivono con questo pensiero per tutto l’anno in modo (bonariamente parlando) quasi maniacale.


Dall’attesa della quaresima, al periodo di quaresima vero e proprio, passando anche per i vari appuntamenti che caratterizzano quei giorni (si pensi alle quarant’ore, alle via crucis, ai concerti di marce funebri e alle occasioni di preghiera), fino ad arrivare alle tanto attese gare e processioni, la città si prepara a vivere, con devozione, la propria Pasqua.

Negli ultimi tempi è capitato che i nostri riti siano stati raccontati attraverso l’obiettivo di una telecamera o comunque inseriti in alcuni film per fare da sfondo o da cornice a trame ben più complesse e delicate che riguardano la nostra Taranto.

Eh sì, perché è giusto che i Riti della settimana santa non restino una cosa solo nostra, del popolo tarantino, ma siano anche trasmessi e raccontati agli altri.

Le nostre processioni sono state, ad esempio, oggetto di servizi giornalistici, poi proposti su alcune reti nazionali come raiuno e canale 5.

A volte la cronaca riportata ha saputo ben rendere il senso delle nostre tradizioni.

Altre volte non è stato proprio così: dalle nostre parti, ad esempio, i confratelli non si flagellano procurandosi delle ferite (cosa ben diversa è simulare il flagello battendo il rosario che si tiene in mano sul petto).

In altre occasioni, invece, la nostra pietà popolare è stata immortalata ed omaggiata dall’occhio e dalla penna attenti di alcuni registi.

Ciascuno ha voluto sottolineare un particolare aspetto delle nostre tradizioni.

C’è chi come Marcellino De Baggis, nel film “Mistero e sgomento”, ha messo in risalto l’aspetto emozionale dei riti.

Il regista ha voluto raccontarli “dal di dentro”, attraverso gli occhi del troccolante che nel film si presenta sia come narratore che come protagonista.

Sta per rientrare, il suo bordone è pronto a bussare per tre volte, ma la sua mente viaggia indietro a ciò che è stato.

Le sue sono parole che esprimono i pensieri di un uomo fra tanti ed in cui lo spettatore può riconoscersi facilmente … “ho sbagliato, ho sicuramente fatto del male, ho fatto tutto quello che ho potuto per essere qui, ho camminato tutta la notte, non mi sento più le gambe, non mi sento più le braccia. Pochi metri mi separano da quel portale, ancora pochi passi e tutto sarà finito…avanti, alza quel bastone, tre colpi e sarà tutto finito…”.

Il battito del cuore ed il suono della troccola fanno da sottofondo costante al racconto.

Il troccolante guida lo spettatore fra i suoi ricordi, lo introduce nella sua vita, gli spiega cosa significa nazzecare e cosa vuol dire amare queste tradizioni... “per capire veramente quanto i tarantini amino i loro riti bisogna venire il venerdì mattina presto a vedere l’Addolorata che attraversa il ponte girevole…”.

Nel film “Mar Piccolo”, invece, il regista A. di Robilant ha voluto lasciare i nostri riti come sfondo di un altro tipo di racconto.

Qui i nostri riti “sopravvivono” alla potenza dell’acciaio, alla morte dovuta alle malattie, alla protesta di una madre che lotta per il bene dei propri figli.

I perdoni qui non parlano di emozioni, né emozionano.

Fanno da cornice ad una città malata, ma che vuole conservare di sé le proprie tradizioni.

Sono i testimoni silenti di un rito che resta, nonostante tutto.


Qualsiasi sia il mezzo attraverso cui li si raccontano, i riti della settimana santa sono insieme simbolo di ciò che emoziona e, al tempo stesso, di ciò che sopravvive della nostra città.

La lente di una telecamera ne interpreta una sfaccettatura, o un particolare.

I nostri occhi, il nostro cuore e la nostra memoria li vivono e li faranno vivere ancora e ancora.

Un film e la nostra memoria, insieme, li renderanno eterni.