giovedì 12 febbraio 2015

Antonello Battista 


Tante volte noi di Nazzecanne abbiamo raccontato ciò che si prova quando noi confratelli indossiamo il nostro abito e quando celati da un cappuccio compiamo i nostri riti penitenziali, nel momento in cui l’intimo di ognuno di noi viene stretto in mille emozioni, in mille pensieri su noi stessi, sulla nostra vita e su quella dei nostri cari, sulle nostre rinunce e sulle nostre mancanze che nel silenzio offriamo al Signore.

La nostra penitenza però non può esistere senza il rito ed essa non ha significato senza l’emozione; sì perché è il sentimento l’elemento fondamentale per l’atto penitenziale, poiché solo esso sa scuotere l’animo, solo esso può contrire una coscienza indurita dalla vita quotidiana e dagli affanni egoistici del mondo.

L’emozione è quindi fondamentale affinchè ogni gesto, ogni passo, ogni nostra preghiera si elevi al cielo ed arrivi efficace a Nostro Signore che solo nel silenzio legge il cuore dei suoi figli e li ricompensa con la sua presenza consolatrice; perché noi sentiamo Dio vicino, molto vicino quando abbiamo il cappuccio sul volto e in quegli attimi restiamo davvero soli con noi stessi anche se attorno ci circondano centinaia di persone incuriosite dal nostro andare, in coppia, a piedi nudi coi rosari in mano ed i cappelli sul capo, figure che sembrano essere uscite da una dimensione atemporale e che incedono lenti alla ricerca di Dio.


Nei Riti della Settimana Santa è la processione dei Misteri, che a giusta ragione catalizza le attenzioni per la sua “spettacolarità” e la sua maestosa imponenza visiva, che tuttavia sono presupposti necessari allo spirito della pietà popolare, ma a mio parere la vera e la reale dimensione intima di cui parlavo prima, si riesce a provare solo durante il Pellegrinaggio che noi confratelli svolgiamo il pomeriggio del Giovedì Santo agli altari della reposizione. In quella pia pratica, (che come ho già ribadito in altri articoli, è l’archetipo di tutti i Riti tarantini) ogni momento, ogni istante è davvero impresso nella memoria, affinchè ogni gesto tenda alla ricerca di Dio.

Sin dal momento della vestizione in oratorio, l’anima si prepara ad accogliere il Signore con fatica e con sacrificio, il pavimento freddo a contatto coi piedi appena spogliati dai calzini, ti fa ricordare di quanto la strada sarà dura e lunga, ma dura e lunga è anche la strada che conduce alla salvezza. Il saluto alla Croce dei Misteri nel salone ti rende partecipe del dolore e della sofferenza di Cristo, ma è quando sei già per strada che si estrinseca la tua essenza di pellegrino, la lenta nazzicata è un incessante anelito dell’anima verso Dio, preghi e speri che qualche passante osservandoti trasformi la sua curiosità in una preghiera, c’è chi addirittura vedendoti passare si fa un segno della croce e guardandolo ti senti più sollevato e più sicuro, perchè capisci che non sei solo sulla via. Durante la preghiera inginocchiato davanti al “sepolcro” ti senti libero, libero di dire a Gesù tutto quello che alberga nel tuo cuore, gli affidi la tua vita, gli affidi le tue preoccupazioni di uomo, gli affidi le tue gioie ed i tuoi dolori, ti affidi a lui, tu indegno figlio e lui amorevole padre.


Lasciarsi andare ai sentimenti ed alle emozioni, alla luce di ciò che ho scritto, non è un esercizio di mero sentimentalismo e non significa scostarsi dalla realtà, anzi la realtà, la tua realtà diventa il mezzo per poter rivolgere a Dio le tue preghiere.



Sono i bambini che solitamente si emozionano e si lasciano andare ai sentimenti, ed i nostri detrattori ci accusano spesso di infantilismo, come se noi “giocassimo” a fare i Perdoni, ma io mi sento di rispondere loro che solo chi guarda il mondo con l’animo di un bambino ha il posto accanto a Dio, perché egli è vicino a chi come noi ricerca in Lui la bellezza e la semplicità di una vita che quotidianamente ci chiede di condividere e vivere con Lui.