giovedì 30 gennaio 2014

Antonello Battista

Molto spesso i nostri Riti della Settimana Santa di Taranto vengono accostati nelle maniere più varie ai Riti Spagnoli, in particolare a quelli Sivigliani, sebbene Nicola Caputo avesse avanzato un’origine Aragonese e Saragozzana degli stessi.


In più occasioni esperti, cultori o presunti tali, che delle tradizioni Tarantine si fanno garanti, nel malcelato tentativo di spiegare l’essenza dei Riti a chi esperto non è, propongono quest’accostamento non sempre affermando il giusto. Da sempre sulla materia ci si divide su quanto nel corso della storia i Riti Spagnoli abbiano influito sulle nostre processioni e di quanto queste ultime siano più o meno derivate dalle loro.
I Cataldiani più oltranzisti e sciovinisti combattono la tesi di un qualsiasi collegamento storico coi Riti Iberici, negando in ogni caso una comunanza tra le due tradizioni, mentre i più accaniti sostenitori di un’attinenza storico-culturale tra le due realtà, arrivano a sostenere una subordinazione connaturata dei Riti Tarantini nei confronti di quelli Sivigliani e Spagnoli in generale. Io invece vorrei proporre una terza interpretazione storica di questa “disputa” cercando una “terza via” alle tesi proposte dal dibattito tradizionale. Siccome alla base di qualsiasi tesi argomentativa c’è sempre un giusto mezzo di valutazione, vorrei provare ad analizzare i due Riti per trovare una sintesi nelle effettive manifestazioni storiche e liturgiche che le due tradizioni ci propongono.



La "Macarena" di Siviglia

I miei studi personali e il grande amore per i Riti Pasquali, mi han portato a studiare e conoscere a fondo le tradizioni dei popoli Iberici ed essendo un Confratello del Carmine, a fare mio tutto quel bagaglio culturale e storico, necessario per calarmi completamente nello spirito della Settimana Santa Tarantina, elaborando la mia personale opinione (sia chiaro, quella di un semplice studentello appassionato di ricerca), ma utile a poter sciogliere dei nodi che da tempo si sono portati al pettine della ricerca storico-sociale della nostra città. Analizziamo adesso le liturgie dei due Riti una per volta, iniziando da quella Sivigliana, per cercare riscontri nella nostra. Innanzitutto partiamo dal presupposto che le Confraternite della città, in Spagnolo Hermandades, che compiono il loro cammino di penitenza sono 57, ognuna destinata a salir a la calle, uscir per strada, in un giorno preciso durante la Settimana Santa, compiendo per l’appunto la “Estación de penitencia”, non una vera e propria processione ma piuttosto, come l’espressione spagnola stessa suggerisce, un “pellegrinaggio di penitenza” che ha un percorso prefissato e delle tappe da rispettare nel passaggio presso determinate Chiese o luoghi sacri della città , per poi transitare obbligatoriamente dalla Cattedrale durante il cammino.


Quest’aspetto dell’itinerario delle Confraternite Sivigliane ricorda molto il Pellegrinaggio che le tutte le nostre Confraternite cittadine compivano il Venerdì Santo nei secoli passati e che hanno compiuto sino ai primi decenni del XX secolo, in adorazione degli Altari della Reposizione nelle Chiese della città. Anche le Confraternite Tarantine, per giunta, avevano percorsi ben definiti da seguire. Su tutte aveva la “dritta”, ovvero il diritto di precedenza ad entrare in Chiesa, la Congrega del Carmine, che ancora oggi conserva tale diritto essendo l’unica Congrega cittadina a svolgere il Pellegrinaggio nel pomeriggio del Giovedì Santo.


Questa analogia tra l’antico Pellegrinaggio delle Congreghe Tarantine e le “Estaciones de penitencias” Sivigliane, non è del tutto trascurabile, se si tiene conto anche della composizione dei cortei processionali.

“Los cortejos” Sivigliani vengono aperti dalla Cruz de Guía (la croce processionale) accompagnata da fanali ed insegne, poi il seguito dei Confratelli incappucciati, detti Nazarenos, con in mano un grosso cero o delle croci sulle spalle, infine il Paso, sarebbe a dire il gruppo statuario che chiude il corteo processionale, e che è diretto da un Capataz, una sorta di capo che direziona i Costaleros, (i portatori) nelle manovre di carico. A ben guardare, la composizione dei cortei processionali Sivigliani è del tutto analoga a quello delle antiche Confraternite Tarantine che a loro volta, aprivano i cortei con la Troccola e la Croce dei Misteri, poi seguivano le poste dei Confratelli, infine il Trono col Bastoncino, simbolo del comando del Priore. Questa struttura processionale è stata conservata per grandi linee nel Pellegrinaggio della Vergine Addolorata nella notte del Giovedì Santo, alla quale si è aggiunto il simulacro della Vergine alla fine del XVIII secolo, a dimostrazione del fatto, che i nostri Riti così come ora noi li conosciamo, hanno una matrice in questa antica pia pratica del Pellegrinaggio.


In tutta sostanza come sintesi di quest’analisi, emerge come la comunanza tra i nostri Riti e quelli Spagnoli, non si sostanzi nelle forme attuali di liturgia e ritualità delle nostre due processioni del Giovedì e Venerdì Santo, nell’espressione “moderna”, ma piuttosto nella pia forma dell’antico Pellegrinaggio delle Congreghe Tarantine ai “Sepolcri”, che è l’esito di una religiosità popolare che trae origine dal Cattolicesimo del Medioevo e dalla appartenenza antropologica ad un ceppo Latino, Sud Europeo e Mediterraneo che ci vede accomunati coi nostri “cugini” Iberici in una stessa identità culturale.


A mio parere dunque, è giusto affermare che non c’è una diretta derivazione, come in molti affermano, ad imitazione (nei gesti, nelle andature e nelle liturgie), dei nostri Riti da quelli Spagnoli, ma piuttosto che derivino entrambi dalla stessa tradizione antropologica Cattolica e Mediterranea, che nel corso dei secoli si è sviluppata e differenziata portando le due tradizioni alle forme attuali. Soggette, queste ultime, sì ad un processo di “osmosi” dovuto alla dominazione Spagnola dell’Italia Meridionale, ma evolute nel corso degli anni in due realtà differenti, come due sentieri di uno stesso bivio. Ahimè sì, separate in due realtà differenti! Perché non c’è niente di più vero nell’affermare che al giorno d’oggi noi Tarantini siamo completamente diversi dai “cugini” Sivigliani. Loro hanno saputo fare “sistema”, hanno compreso l’importanza della loro tradizione, han portato avanti il loro lavoro in un “marchio” (mi si conceda l’abbassamento prosaico del termine), che ha dato lustro alla loro Terra e che li rende inconfondibili agli occhi del Mondo, garantendosi di conseguenza, economia e turismo. Noi invece, per decenni schiacciati in inutili polemiche e dispute personali sulla modernità dei tempi e sulle brevi e fallaci “prospettive dell’acciaio”, oppure trascinati da particolarismi d’opportunità privati, non ci siamo resi conto delle risorse e dell’importanza del tesoro inestimabile che la Storia e i Calò, ci hanno donato e che noi Confratelli del Carmine difendiamo e custodiamo con ardente orgoglio.