giovedì 16 gennaio 2014

Giovanni Schinaia
(Settimana Santa 2012)


La Vergine Addolorata: l’ultima delle otto statue che compongono la Processione dei Misteri tarantina.
Chi, fra i Confratelli del Carmine, ha avuto almeno una volta nella vita il privilegio di portarla in processione, lo sa bene: l’Addolorata è una statua “particolare”. Avanza infatti in un silenzio che pare surreale, se confrontato con l’importuno baccano e il disturbevole vociare dei curiosi e dei pagani che, frammisti ai devoti fedeli, si affacciano a dare un’occhiata, spesso distratta e sufficiente, ai nostri Riti.

Piange la Vergine, lo sguardo dolcissimo e straziato rivolto pochi metri più in là, verso la Croce su cui è drappeggiato il velo sindonico, e verso il feretro del divino Figliolo, anch’esso dondolante sulle forti spalle dei nostri Confratelli penitenti. Piange la Vergine, le mani protese in avanti quasi a ostendere l’Immacolato Cuore di madre, trafitto, protese ed allargate quelle mani, quasi ad abbracciare a quell’Immacolato Cuore, l’umanità anch’essa ferita e sofferente, spesso senza che neanche se ne renda pienamente conto; anche quell’umanità gaudente e beota per la quale i giorni santi della Passione non sono che occasioni per delle notti bianche fuori stagione; anche quell’umanità apostata e decadente che, rinovellando l’ingrato affronto dei cafoni di Gerusalemme di duemila anni fa, non perde occasione per gridare ancora oggi al Pilato di turno: Crucifige, crucifige Eum!

La Madre piangente sembra abbracciare tutta quella variegata umanità che, senza bisogno di parole, riesce a ridurre al silenzio almeno per il tempo del suo incedere lento e maestoso, solenne e regale, al passo incerto della “nazzicata” sulle sicure spalle dei portatori scalzi e dei forcellieri. Lo schiamazzo è costretto a tacere; chi stava ridendo fino ad un attimo prima, recupera una compostezza e una serietà di cui forse non si sapeva neanche capace; qualcuno dei pagani o degli apostati arriva addirittura a scarabocchiare sul viso e sul cuore un segno di Croce. Chissà! Forse è iniziata una conversione. Forse qualche “lontano”, guardando passare l’immagine della Madre dei Dolori, guardando le Sue mani che, protese in avanti, sembrano indicare il divino Redentore Crocifisso e sepolto, ha sentito in cuore quelle stesse parole che Lei, indicando il Maestro, aveva rivolto ai servitori del banchetto a Cana; “fate quello che vi dirà!”

È una statua particolare, quella dell’Addolorata, i Confratelli lo sanno bene: spesso nelle lunghe ore di cammino, quando la nazzicata si fà profonda, magari sul canto melodioso dei flicornini e dei legni, capita di avvertire, cupi e sordi, gli scricchiolii della pesante base sulle lunghe sdanghe. In quelle ore si impara a riconoscerli, quelli scricchiolii, si impara ad aspettarseli, e si finisce per amarli quando, al termine della processione, ripiegati i propri abiti di rito e tornati agli usati giorni, insieme alla fatica per il pesante fardello sulle spalle, li si depone per sempre nel tesoro dolcissimo e personalissimo, intimo e unico, dei ricordi legati alla Settimana Santa.

Fra non molto la Confraternita del Carmine celebrerà con grande solennità i duecentocinquanta anni del proprio singolare privilegio: la Provvidenza, per la donazione del nobile don Francescantonio Calò nel 1765, ha voluto che fosse proprio la nostra Confraternita, nel giorno del Venerdì Santo, a celebrare a Taranto quella sorta di funerale solenne del Signore Gesù che è in definitiva la processione dei Misteri. È da quell’anno 1765 quindi che tanti, tantissimi nostri Confratelli hanno prestato le proprie spalle perché fossero, per una sera e una notte, il trono della Vergine in lacrime, un trono dondolante che innalza l’immagine della Madre sulla folla incontenibile di quei fedeli che, solo poche ore prima, il Signore aveva affidato come figli proprio a quella stessa Madre. Una scelta, quella della Divina Provvidenza, che costituì a suo tempo quasi una crismazione per la nostra Confraternita alla quale da allora, aggiungendola alla costitutiva vocazione mariana, fu impresso l’indelebile carattere della Compassio Domini e della Compassio Virginis.

Ma la devozione per l’Addolorata non giungeva a Taranto solo in coincidenza con quell’evento. Anzi! Si può dire che già costituiva da sempre, uno degli elementi caratterizzanti dell’identità cristiana di questo popolo. È almeno a partire dal IV secolo che i Padri latini hanno identificato il dolore di Maria con la spada della profezia di Simeone. Un dolore iniziato per Maria, a partire dal momento stesso del suo“ecce ancilla Domini”, con un concepimento tutto ancora da chiarire al suo promesso, con una nascita in un ricovero di fortuna perché “per loro” non c’era posto altrove, con l’inquietante profezia di Simeone, con la fuga in Egitto, con lo smarrimento del giovinetto Gesù al tempio, e poi con l’abbandono di quel figlio da parte di tutti quegli amici che fino a poco prima lo avevano riconosciuto e seguito come maestro, e infine con la tragedia del processo, della condanna, della crudele esecuzione di quel figlio, e della sepoltura di lui nella nuda terra.

Fra gli apostoli del culto dell’Addolorata si ricordano i dottori Sant’Anselmo e San Bernardo di Chiaravalle, il beato Jacopone da Todi, a cui è attribuita la laude Stabat Mater, che nel ‘700 sarà accolta anche nella liturgia, e soprattutto i sette nobili fiorentini che, nel 1233, presero per i propri abiti il colore nero del lutto di Maria, e si ritirarono in penitenza sul monte Sanario, ponendosi sotto la protezione della Vergine Addolorata: erano i Santi Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria che da allora propagherà nell’ecumene cristiano il culto per l’Addolorata. Si diffusero anche dei tipi iconografici: la Madonna, sempre vestita a lutto, portava in mano, o sul petto, il cuore flammato trafitto, solitamente da uno, cinque o sette stiletti. Rispetto all’iconografia tradizionale la nostra Addolorata reca nella destra, in una delicatissima postura, un cuore flammato trafitto però solo da tre stiletti, e nella sinistra il fazzoletto bianco. È vestita a lutto, nella foggia secentesca nobiliare. Sotto il velo nero, sul capo, veste una finissima mantilla. Il volto è leggermente reclinato, l’espressione afflitta eppure ieratica.

Contempliamo allora questa dolcissima icona che chiude la nostra processione dei Misteri: con gli occhi del cuore sentiamo il dolore della Madre, ma è quella Madre che al nostro stesso cuore, al suo passaggio, infonderà la speranza certa con cui, insieme a Lei, attenderemo, con trepidante fervore, la luce della Resurrezione.

Stava presso la Croce di Gesù
Sua Madre…