venerdì 31 gennaio 2014

Peppe Carucci
Corriere del giorno, 28/3/2013


Taranto, antica città di origine greca, ha vissuto il suo periodo piu’ florido dal 700 all 350 avanti Cristo, periodo in cui splendeva come un diamante nel mediterraneo per la sua fiorente economia e per la sua potente armata di sangue spartano. Terra di bellezza straordinaria, posto dal clima unico, ha ispirato nei secoli grandi letterati e filosofi. Un lasso di tempo storico breve pero’, visto nel lungo periodo. Poi un inesorabile, lento declino. Da terra di conquistatori si trasforma in terra di sconfitti. Da sempre strategicamente appetibile la sua posizione geografica nel mediterraneo è teatro di decine di epiche battaglie. Distrutta e ricostruita per una dozzina di volte, i cittadini dell’antica capitale della Magna Grecia subiscono per 19 secoli Romani, Goti, Bizantini, Franchi, Arabi e Saraceni, Normanni, Svevi, Turchi, Angioini, Aragonesi e Spagnoli. I tarantini per secoli ne vedono di tutti i colori e subiscono nefandezze di tutti i tipi. Di fronte a tante e tali dominazioni, di fronte a tante diversità di culture, è impossibile immaginare un popolo che abbia formato intorno a qualcosa la propria identità. E’ esattamente cosi’.

Taranto, nel 1610 è un piccolo, povero centro con una popolazione di 12300 abitanti, fatta di pescatori, agricoltori, analfabeti, stipati in spazi stretti ed angusti della attuale città vecchia. E’ un periodo anche, in cui si insediano in città molti ordini religiosi. Dai gesuiti ai fatebenefratelli, dai celestini ai benedettini, ed infine ai carmelitani. L’avvento dei religiosi in città coincide non solo con la formazione religiosa dei tarantini ma, anche, grazie all’impegno sul territorio, all’arginarsi del fenomeno di analfabetizzazione estremamente diffuso. Nel 1650 poi, c’è l’avvento dei pellegrini che giungevano fino a noi dalle lontane terre d’oltre alpi, con fatica e rischi, annunciando il messaggio cristiano. In un momento in cui pestilenze e carestie funestavano i territori, nascono nel meridione d’Italia ed a Taranto le confraternite, strutture laiche e società di mutuo soccorso. Nel nostro piccolo centro cittadino ne nacquero a decine. In un tempo storico difficile e di grande bisogno spirituale le confraternite favoriscono il diffondersi del messaggio cristiano
Nell’allora borgo antico risiedevano, oltre agli ordini religiosi, 4-5 famiglie di nobili, grossi latifondieri. Una di queste era la famiglia Calò. Il loro capostipite don Diego Calò ordinò per la sua tenuta patrizia 2 statue in cartapesta, quelle di Gesù Morto e dell’Addolorata, con lo scopo di portarle in processione il Venerdi’ Santo di ogni anno. E’ solo nel 1765 che suo nipote Francesco Antonio, in piena carriera politica, dal momento che non aveva più tempo di occuparsene e per assicurarsi il perpetrarsi nel tempo del Sacro rito che avevano istituito , decise di donare quelle due statue all’allora Confraternita del Carmine, che eseguiva già il pio esercizio del pellegrinaggio ai sepolcri e che si distingueva dalle altre per zelo e decoro. Da quell’anno, cosi’ come riportato negli studi del compianto, storico e Priore Nicola Caputo, la Confraternita si occupò di organizzare la Processione dei Misteri per le vie della città. Un momento importante, unico di religiosità e pietà popolare, per l’intera cittadinanza e che avvicinava alla fede migliaia di tarantini. Più in là, la confraternita decise di aumentare le statue della processione aggiungendo quelle di Gesù all’Orto, alla colonna, alla canna, alla caduta sotto il peso della croce, con il crocifisso e la sacra sindone, col fine di rappresentare i momenti salienti della morte e passione di Gesù Cristo descritti nei vangeli. 
I tarantini ogni anno attendevano trepidanti il passaggio di quella processione, che insieme quella dell’Addolorata ed al sacro rito del Pellegrinaggio andavano a costituire i nostri riti della Settimana Santa, oggi rinomati in tutto il mondo. Un momento di straordinaria spiritualità, grazie al quale in tanti ritrovavano la propria fede perduta. Riti sapientemente conservati e che hanno superato nei secoli le dominazioni francesi, spagnole e barbare. Religiosità popolare che ha resistito al veloce processo di industrializzazione e di modernità a cui è stata sottoposta la città negli ultimi 150 anni e, che avrebbero potuti spazzarli via se non ci fossero state delle solidissime basi di fede cristiana da parte delle confraternite che li hanno perpetuati.

Dal 1765, un rito perpetrato con fede e devozione, tramandato immutato di padre in figlio, di generazione in generazione nel segno della tradizione che continua, che aggrega e diventa identità di un popolo che per decine di secoli non ne ha mai avuta. I riti della Settimana Santa tarantina sono l’unica cosa che in 250 anni a Taranto non è mai cambiata, aggregando un popolo che ancor oggi, risulta profondamente diviso e spaccato su tutto.
Un patrimonio genetico da conservare ed a cui restare attaccati fosse l’ultimo baluardo da difendere per mantenere inalterata l’identità di un popolo.